lunedì 13 gennaio 2014

Qualcosa di Massimo e qualcosa di Silvio dietro il velo: Matteo Renzi all’attacco del cielo.

Adesso che Renzi è finalmente riuscito nell’impresa, così tenacemente perseguita, di conquistare la guida del più grande partito italiano, tutti sembrano aspettarsi da quest’uomo una svolta finalmente decisiva, qualcosa di radicalmente nuovo.
Ora, non c’è dubbio che per quanto riguarda il Pd e le sue dinamiche interne, Renzi rappresenti davvero qualcosa di nuovo: è riuscito nella durissima impresa di accantonare un nucleo dirigente che certamente meritava di essere messo da parte. Si direbbe che abbia realizzato il sogno di Nanni Moretti a Piazza Navona, quando disse che l’unica speranza era liberarsi una volta per tutte da quei signori. Ma porterà davvero qualcosa di migliore?
Nel gran frastuono che ha accompagnato il cambiamento, sembra quasi che ci si sia dimenticati delle vere ragioni per cui quel nucleo dirigente aveva suscitato un così profondo malcontento nell’elettorato del Pd e del centro-sinistra. L’essenza di quel malcontento dipendeva tutta da questioni di orientamento politico, non certo dall’età anagrafica 
L’idea che in politica o sulla scena pubblica l’età avanzata sia di per sé un difetto è semplicemente ridicola. Basti pensare alla ventata di aria fresca che portò al Quirinale il vecchio Sandro Pertini, o a quella che ha portato in Vaticano il settantasettenne Jorge Mario Bergoglio, o al successo in California del settantacinquenne Jerry Brown, o all’ondata di indignato entusiasmo che suscitò fra i giovani tre anni fa il pamphlet dell’ultranovantenne Stéphan Hessel. E se c’è qualcosa di veramente nuovo (nel bene e nel male) nella politica italiana, questo è Grillo, che non è esattamente un fanciullino.
L’età non c’entra: se quei signori ci disturbavano tanto, era per tutt’altre ragioni. Soprattutto tre. Innanzitutto l’ottenebrata debolezza della loro reazione all’attacco di Silvio Berlusconi, la loro incapacità di comprendere il carattere radicalmente eversivo della sua costruzione politica, quello che uomini di ben altra stoffa, per esempio Norberto Bobbio, avevano così lucidamente interpretato fin dai primi anni Novanta. La pervicace insistenza con cui quei signori hanno dipinto Berlusconi come l’esponente di un normalissimo centro-destra “moderato”, anziché come l’estremista autoritario e facinoroso che era ed è tuttora, è stata forse la più grave delle loro responsabilità. Ma non certo l’unica.
La seconda ragione per cui chi ha occhi per vedere ha sempre diffidato di quella dirigenza è stata la sua supina accettazione di tutti i dogmi del pensiero unico neoliberista in economia. Sotto la loro guida, quello che era il centro-sinistra è diventato, quello sì, un centro-destra moderato, pronto ad accettare tutti i diktat provenienti da Bruxelles o da Washington, tutto quel colossale insieme di provvedimenti che hanno stravolto l’assetto dei sistemi economico-politici d’Europa e di buona parte del mondo, aprendo la strada alla grande recessione di cui soffriamo e soffriremo a lungo i dolorosi effetti. E lo hanno fatto senza avere la capacità di approfittare di questi cambiamenti per liberare il paese dal gravame dei vecchi vizi che lo distinguono dal resto d’Europa, evasione, furbismo, clientelismo e corruzione.
La terza ragione per cui quei signori non ci piacevano era la loro politica estera. Anziché fare dell’Italia quel che vorrebbe la sua vocazione naturale e costituzionale, una grande forza di pace che, ripudiando radicalmente il ricorso alla forza, eserciti la sua influenza per mediare i conflitti, comporre i dissidi e promuovere riconciliazione, ne hanno fatto, soprattutto dal Kossovo in poi, la parodia di una micropotenza militare, sempre pronta a mostrare muscoli inesistenti e ad aggregarsi al carro del presunto vincitore.
Ora, c’è forse da credere che Matteo Renzi, col suo attacco al cielo, possa portare un vero cambiamento su questi tre piani?
Di politica estera si è sempre occupato ben poco, tutto preso com’è sempre stato dai sinuosi giochi interni della scena politica italiana, a livello locale o nazionale. Quello che di sicuro ha capito bene è l’eterna, granitica norma di chiunque voglia accedere al potere in Italia: non bisogna inimicarsi gli americani. E in questo, di sicuro, c’è ben poco di nuovo.
Ma veniamo alla politica economica. C’è da uscire dalla crisi. Cos’ha da dire Renzi in proposito? Ecco cosa ha da dire, cito dal suo sito ufficiale: “Usciremo dalla crisi solo se metteremo finalmente mano alle riforme strutturali di cui tutti parlano da decenni e che invece stiamo ancora aspettando.” Una frase così dice tutto. Le riforme strutturali di cui tutti parlano da decenni. Quali? Quelle alla Tony Blair e alla Margaret Thatcher, evidentemente. Perché non so di quali altre riforme strutturali si sia parlato tutto questo tempo. E di quelle, veramente, ne abbiamo avute fin troppe, in Italia e in mezzo mondo. Non solo: sono proprio quelle che hanno causato i formidabili squilibri nella distribuzione della ricchezza che sono all’origine della crisi che stiamo vivendo e di cui il bravo Renzi sembra preoccuparsi ben poco, esattamente come i suoi predecessori. Il suo Jobs Act avrà forse qualche merito, se ce ne vedono persino quei biechi sovversivi di Maurizio Landini e Susanna Camusso, ma certamente, per esempio, non ha il merito di ammettere un fatto molto semplice, riconosciuto ormai da tutti i più avveduti economisti, a partire da Joseph Stiglitz: ciò che sta strangolando le imprese e l’economia del paese è il vuoto di domanda. Il vero problema non è il credito o il costo del lavoro, è che non si riesce a vendere quello che si è capaci di produrre. E questo è dovuto sì alle politiche di austerità, ma è dovuto soprattutto, a questo punto, ai bassi salari e alla concentrazione della ricchezza. Non è soltanto una questione di “cuneo fiscale”. E’ una questione di distribuzione del reddito.  Finché non si riconosce questa elementare verità, non si esce dal solco del pensiero unico, come, in buona sostanza, non ne esce l’intero Jobs Act. Su questo piano, Renzi non si allontana per nulla, almeno per ora, dalle logiche dei suoi predecessori. Ci mette solo, forse, un pizzichino in più di fantasia. Ma di quella era già maestro Silvio Berlusconi, e con quali risultati lo si è visto.
Ma c’è un altro colpo d’ala nel pensiero economico renziano. Basta con l’austerity. Pochi se ne ricordano, ma questo è proprio quello che aveva proclamato a gran voce Mario Monti, subito dopo la sua famosa manovra. E lo aveva detto battendo il pugno sul tavolo in Europa. Adesso Renzi ci aggiunge una preziosa precisazione: si tratta di “superare il tre per cento”, cioè il famoso vincolo di Maastricht al disavanzo in percentuale sul Pil. Proprio quello che il temibile Olli Rehn ci aveva sonoramente intimato di non fare, appena qualche settimana fa.
E’ una mossa ardita, senza dubbio. Non si sa bene come si concili con il concetto che “sacrosanto è lo sforzo alla riduzione del debito”, che si ricava sempre dal suo sito ufficiale. Ma non è questo il punto. Il punto è che una mossa del genere non è solo una sfida aperta alla Germania, ai falchi della Bundesbank e di tutto il nord Europa, al trattato di Maastricht e alla nostra Costituzione appena malauguratamente modificata per impedire simili audacie: è soprattutto una sfida ai potentati dei mercati finanziari. Per poter lanciare una sfida simile bisognerebbe innanzitutto invocare quella profonda riforma del loro assetto che impedisca a quei potentati di dettare legge ai governi nazionali. Ma di questo, nei discorsi di Renzi, neppure l’ombra più vaga. In assenza di questo coraggio, l’audacia di Matteo Renzi in questa materia ricorda soltanto l’avventatezza di Silvio Berlusconi esattamente nello stesso senso. E con quali risultati lo si è visto.
E veniamo al terzo punto. Berlusconi, appunto. L’atteggiamento complessivo di Renzi nei suoi confronti ricalca esattamente quello dei suoi predecessori. Ma forse in peggio, perché non so quale dei signori della vecchia nomenclatura avesse, per esempio, la faccia tosta di intrattenere rapporti così cordiali con un maestro d’inganni e di frodi come Denis Nardini. Matteo Renzi ha di Berlusconi esattamente lo stesso concetto di D’Alema. Non quell’estremista autoritario e obliquamente facinoroso che è ed è sempre stato, ma un degno avversario da “battere politicamente”, con cui va benissimo contrattare e concordare le regole del gioco, oggi la legge elettorale, ieri la riforma della Costituzione. Andare a concordare la legge elettorale con un simile figuro, appena condannato in via definitiva per delitti contro lo stato, cioè contro tutti noi, è veramente un’idea inconcepibile. Ma c’è poco da stupirsene: siamo esattamente nella logica dei suoi predecessori. Infatti, a quanto pare, la cosa non ha destato nessuno scandalo, solo sottili analisi politiche sulle segrete intenzioni dell’ex-rottamatore.
Ma veniamo a concludere. Per quanto detto fin qui, in Renzi non abbiamo trovato proprio nulla di nuovo. L’essenza della sua linea politica non è altro che un travestimento del vecchio pensiero del vecchio centro-sinistra.
Ma qualcosa di nuovo, ovviamente, c’è. Innanzitutto quel carisma che era sempre mancato ai suoi predecessori. La capacità di affascinare, di trasmettere entusiasmo, di trascinare gli animi. E’ una qualità tutt’altro che secondaria e superflua. Il problema è a quali fini la si mette a frutto. In più, Renzi ha dimostrato finora un notevole intuito politico. La capacità di cogliere i temi che di volta in volta gli possono portare consenso, di capire da quali parti questo consenso può arrivare. Di cogliere i punti deboli dell’avversario di turno. E così via. Tutte qualità preziose in politica. Il problema è a quali fini si mettono a frutto.
Renzi ha qualcosa di D’Alema e qualcosa di Berlusconi. E qualcosa non ha di tutt’e due. Di D’Alema non ha l’antipatia e il profondo grigiore, di Berlusconi non ha lo sprezzo della legalità e le televisioni. In comune con D’Alema ha la mancanza di una visione del mondo, di un’idea nobile e alta della società che vogliamo costruire. Come D’Alema, non ha una fede e non ha un ideale, ha soprattutto il proposito di esercitare il potere. In comune con Berlusconi, oltre al carisma, ha il proposito di un sistema politico a modello paterno, l’uomo solo al comando. Renzi è tutto per l’elezione diretta di questo e quello (perfino del presidente della commissione europea, un’idea degna di un Grillo). Il capo investito del consenso popolare che esercita il potere nel modo più pieno possibile. Anche questo concetto, peraltro, è tutt’altro che nuovo, risale a Cromwell e a Bonaparte, con tutto quello che c’è stato in mezzo.
A differenza di Berlusconi, tuttavia, Renzi si gioca tutto alle prossime elezioni, quando verranno. Se le perde è finito, è naufragato il suo attacco al cielo.
Ebbene, staremo a vedere. Ci auguriamo che non le perda, perché tutto il resto sarebbe peggio. Ma soprattutto che, se le vince, si dimostri migliore di quel che ci è apparso finora.

Post scriptum. Non si può tacere della gloriosa battaglia sui “costi della politica”, l’emblema del “nuovo” portato da Renzi. Ha già ottenuto, pressappoco, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. E’ una cosa che, insieme alla famosa riduzione degli stipendi dei parlamentari, sta tanto a cuore a tantissimi italiani. I quali però non sembrano rendersi conto che le due cose messe insieme pesano per una frazione irrisoria della nostra spesa pubblica, molto meno di un centesimo. Pesano molto di più le tangenti e gli appalti truccati, che non hanno nulla a che fare col finanziamento pubblico, la cui abolizione, semmai, rischia di farli crescere a dismisura. Come non sembrano rendersi conto, quegli indignati italiani, che l’alternativa al finanziamento pubblico è semplicemente il finanziamento privato, che garantisce un enorme leva ai potentati economici che hanno i mezzi per condizionare i politici. Diciamo che si tratta di una misura per lo meno discutibile. Rientrano nel medesimo filone l’abolizione del senato elettivo e la riduzione del numero dei parlamentari, due cose non irragionevoli, ma che di per sé non garantiscono proprio nulla di radicalmente nuovo, checché ne pensi Napolitano. Quanto all’altra gloriosa battaglia, quella sulla legge elettorale, Renzi ha forse il merito di aver imposto finalmente una conclusione di quell’epopea. Ma c’è da temere che non sia delle migliori. Propone il “sindaco d’Italia” e il suo esatto contrario, il Mattarellum aggiustato, insieme al sistema spagnolo riveduto e peggiorato, il contrario di tutt’e due. L’unica cosa che hanno in comune è che Renzi può vincere con tutti e tre, o almeno così crede lui. Ma questa è un’altra storia, su cui speriamo di ritornare.



13 commenti:

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  2. Condivisibile la tua analisi, Alberto. Aggiungerei soltanto che.. io Renzi un lo regge proprio! e se è vero che una sua non vittoria sarebbe peggio, come dici tu, è pur vero che la sua vittoria non sarebbe il meglio per il paese. Va poi considerato che, se nella segreteria di Renzi non c'è nessuno della vecchia nomenclatura, a me pare che la sua sia una squadra operativa dove però le reali funzioni di direzione politica saranno altrove, e che quindi abbiamo assistito ad una operazione più di facciata che altro. Il vero numero due del Pd renziano è infatti Graziano Delrio, l’attuale ministro delle Regioni, uomo delle mediazioni e di collegamento con i prodiani. Evito poi di parlare della scelta di Faraone alla scuola e al welfare...uomo assai discusso e in odor di collusioni pesanti. Concludo dicendo che di Berlusconi Renzi ha poi la stessa identica capacità di raccontarci le più sonore balle, credendoci egli stesso a tal punto da farle apparire vere, insieme all'abilità di cambiare versione nel giro di pochissimo tempo. Insomma uomo di spettacolo e di immagine, il cui spessore etico a me pare del tutto assente.

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    1. Concordo pressappoco su tutto, in particolare sull'ultimo punto. Colgo l'occasione per specificare che, se c'è da augurarsi che Renzi non perda, è solo perché una sinistra non c'è. Se ci fosse...

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    2. alla ricerca ...della sinistra perduta?! non è e non c'è più tempo...ormai. Sono su un'altra sponda e guardo con ironia l'avvicendarsi astuto del potere. Colpevole mi sento, di tutta la mia umanità.

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  3. Ho letto con interesse e larga condivisione l’articolo, soprattutto quando i giudizi riguardano i fatti “oggettivi” della politica.
    Un passaggio a me pare debole.
    “Ma qualcosa di nuovo, ovviamente, c’è. Innanzitutto quel carisma che era sempre mancato ai suoi predecessori. La capacità di affascinare, di trasmettere entusiasmo, di trascinare gli animi. E’ una qualità tutt’altro che secondaria e superflua”.
    E forse, aggiungerei, pericolosa in una società di pari.
    Non sarei d’accordo. Anche questo giudizio a me sembra in continuità con l’errore della vecchia classe dirigente, che riconosceva a Berlusconi un carisma (ed era, in verità, il carisma di soldi e dell’affabulazione per “servi liberi”).
    In realtà, specie in Italia, il carisma non è una qualità, verificabile attraverso un elenco di virtù eccezionali, di una persona, ma solo la misura del risultato del successo politico e mediatico conquistato; e si sa quanto sia facile per il nostro popolo, privo di cultura liberaldemocratica, entusiasmarsi rapidamente. Lasciamo il carisma per altri usi, pur senza scomodare Weber. O no?

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  4. Ecco un'altra osservazione sensata, che mi dà modo di precisare. Il carisma, proprio per Weber, non è il possesso qualità positive e di virtù eccezionali, ma solo la capacità di far credere di possederle, che oggi si manifesta appunto nel successo politico e mediatico. E' senza dubbio una qualità pericolosa per una democrazia, anche perché non è affatto detto che si accompagni davvero ad alte virtù, anzi di solito è il contrario, come nel caso di Berlusconi e Mussolini. Purtroppo in Italia, in questo momento, non è una qualità tanto superflua, perché si è creato un clima che la richiede. E' un clima che non mi piace affatto e per questo sono contrarissimo all'elezione diretta di chicchessia.

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  5. Concordo su tutto. A cominciare, per ovvie ragioni, dalla rivalutazione degli anziani.

    ALFIO MASTROPAOLO

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  6. Condivido tutto. Ti segnalo un'unica imprecisione: il finanziamento pubblico ai partiti NON è stato eliminato. Il trucco del 2 per mille è solo un modo per mantenerlo, nascondendolo.
    Ma dov'è la sinistra?
    Francesco Baicchi

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  7. Bravo, condivido tutto, e la tua visione mi pare penetrante, lungimirante e completa. Lucia Li Pera

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  8. Commento di ANGELO BARACCA:

    Caro Alberto,
    la situazione è disperante! Non riesco ad adeguarmi alla tua conclusione - strettamente logica all'interno di questa situazione- che se Renzi perdesse sarebbe “peggio”. Mi viene in mente il famoso Candide di Voltaire: ma per quale ragione dobbiamo sempre accontentarci del meno peggio? Non voglio sostenere neanche il contrario, il “tanto peggio tanto meglio”, ma sono sempre più convinto che questo paese, questo popolo, abbiano bisogno di una rifondazione radicale, di una rieducazione dalle fondamenta: io rientro da un periodo all'estero in cui non potevo nemmeno accedere alle notizie italiane, ma da una mail che ho ricevuto mi pare ci sia stato un sondaggio secondo il quale la maggioranza degli italiani sarebbe pronta ad accettare un nuovo regime di tipo fascista (autoritario). Vero o no, non posso trascurare la profonda impressione che in tutti questi anni, andando all'estero, mi faceva la domanda incredula di TUTTI "Ma come fate a votare Berlusconi?"; e ora mi pare che si ripeta pari pari per Renzi, il "carisma" di cui parlate per il caso italiano mi sembra più simile all' “istrione” (non è forse stato così anche per Grillo?), ambiziosissimo e spregiudicato, senza trascurare il “progetto eversivo” del precedente istrione.
    Detto questo, aggiungo qualche postilla (retorica) alle tue considerazioni.
    1) Per il gruppo "dirigente" (?) del PD la questione mi sembra più grave di una "incapacità di comprendere il carattere radicalmente eversivo della costruzione politica" di Berlusca. Tendo a pensare che il vero e proprio “sostegno” del PD, che ha consentito a Berlusca di spadroneggiare per 20 anni, sia stato ben più consapevole, un'adesione organica alla linea berlusconiana (il che non vuol dire che tutti i dirigenti PD abbiano capito il vero disegno di Berlusca, ma almeno in superficie gli andava benissimo quello che faceva: da tempo dicevo che al PD faceva molto comodo che qualcuno facesse il lavoro sporco, ora vediamo come tocchi a loro farlo). E Renzi lo ha ripescato e sdoganato volutamente, con una protervia di cui forse molti dei vecchi dirigenti si sarebbero per lo meno vergognati. Insomma, mi sembra di male in peggio.
    2) Quanto alla "supina accettazione di tutti i dogmi del pensiero unico neoliberista in economia", mi sembra che Renzi rimanga perfettamente in linea, anzi ancora più convintamente su quella linea, che giustamente chiami blairiana-tatcheriana (mi pare che i legami di Renzi con Blair siano diretti). Io credo (temo) che Renzi agirà ancora più a cavolo, perché mi sembra che non abbia NESSUNA IDEA, se non (come tu dici) quella di imporsi, di primeggiare, di vincere. Il suo "nuovo" mi sembra solo spregiudicatezza improvvisata, pur di apparire diverso dagli altri. Posso sbagliare, ma stento a pensare che Renzi abbia un "disegno politico" paragonabile a quello di Berlusca, insomma mi sembra un cialtrone miserabile, che sa vendere molto bene il suo vuoto pneumatico. Per esempio, mi solleva per lo meno dubbi l'entourage di cui si è circondato, ma non ho elementi concreti per valutare.

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  9. Un articolo meraviglioso al quale non posso far altro che battere le mani. Grande riferimento a un grande uomo che fu N. Bobbio, uomo del dubbio e del (VERO e ahimè quasi estinto) dialogo. Queste cose sarebbe un piacere sentirle anche a lezione ogni tanto, oltre alle solite chiacchiere da telegiornale; sarebbero un lume raro nell'oscura ignoranza di noi studenti della nuova generazione.

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    1. Come sarebbe, io chiacchiere da telegiornale a lezione? Non me n'ero accorto: che le faccia quando non sto ascoltando quello che dico?

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    2. Il massimo argomento politico che si riesce a tirarle fuori professore è ogni tanto qualche vago accenno all'evento del giorno senza troppi giri di parole, questo intendo con chiacchiere da telegiornale.
      Ovviamente non mi riferisco alla qualità della conversazione quanto invece alla sintetizzazione e quindi l'impossibilità di arricchire gli argomenti con nomi e fatti che un giovane ignorante come me non sentirebbe mai al tg o sul giornale e troverebbe di sicuro più interessanti e soddisfacenti.

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