Adesso che Renzi è finalmente riuscito nell’impresa, così
tenacemente perseguita, di conquistare la guida del più grande partito italiano,
tutti sembrano aspettarsi da quest’uomo una svolta finalmente decisiva,
qualcosa di radicalmente nuovo.
Nel gran frastuono che ha accompagnato il cambiamento,
sembra quasi che ci si sia dimenticati delle vere ragioni per cui quel nucleo
dirigente aveva suscitato un così profondo malcontento nell’elettorato del Pd e
del centro-sinistra. L’essenza di quel malcontento dipendeva tutta da questioni
di orientamento politico, non certo dall’età anagrafica
L’idea che in politica o sulla scena pubblica l’età avanzata
sia di per sé un difetto è semplicemente ridicola. Basti pensare alla ventata
di aria fresca che portò al Quirinale il vecchio Sandro Pertini, o a quella che
ha portato in Vaticano il settantasettenne Jorge Mario Bergoglio, o al successo
in California del settantacinquenne Jerry Brown, o all’ondata di indignato
entusiasmo che suscitò fra i giovani tre anni fa il pamphlet dell’ultranovantenne
Stéphan Hessel. E se c’è qualcosa di veramente nuovo (nel bene e nel male)
nella politica italiana, questo è Grillo, che non è esattamente un fanciullino.
L’età non c’entra: se quei signori ci disturbavano tanto,
era per tutt’altre ragioni. Soprattutto tre. Innanzitutto l’ottenebrata
debolezza della loro reazione all’attacco di Silvio Berlusconi, la loro
incapacità di comprendere il carattere radicalmente eversivo della sua
costruzione politica, quello che uomini di ben altra stoffa, per esempio
Norberto Bobbio, avevano così lucidamente interpretato fin dai primi anni
Novanta. La pervicace insistenza con cui quei signori hanno dipinto Berlusconi
come l’esponente di un normalissimo centro-destra “moderato”, anziché come
l’estremista autoritario e facinoroso che era ed è tuttora, è stata forse la
più grave delle loro responsabilità. Ma non certo l’unica.
La seconda ragione per cui chi ha occhi per vedere ha sempre
diffidato di quella dirigenza è stata la sua supina accettazione di tutti i
dogmi del pensiero unico neoliberista in economia. Sotto la loro guida, quello
che era il centro-sinistra è diventato, quello sì, un centro-destra moderato,
pronto ad accettare tutti i diktat provenienti da Bruxelles o da Washington,
tutto quel colossale insieme di provvedimenti che hanno stravolto l’assetto dei
sistemi economico-politici d’Europa e di buona parte del mondo, aprendo la
strada alla grande recessione di cui soffriamo e soffriremo a lungo i dolorosi
effetti. E lo hanno fatto senza avere la capacità di approfittare di questi
cambiamenti per liberare il paese dal gravame dei vecchi vizi che lo
distinguono dal resto d’Europa, evasione, furbismo, clientelismo e corruzione.
La terza ragione per cui quei signori non ci piacevano era
la loro politica estera. Anziché fare dell’Italia quel che vorrebbe la sua
vocazione naturale e costituzionale, una grande forza di pace che, ripudiando
radicalmente il ricorso alla forza, eserciti la sua influenza per mediare i
conflitti, comporre i dissidi e promuovere riconciliazione, ne hanno fatto,
soprattutto dal Kossovo in poi, la parodia di una micropotenza militare, sempre
pronta a mostrare muscoli inesistenti e ad aggregarsi al carro del presunto
vincitore.
Ora, c’è forse da credere che Matteo Renzi, col suo attacco
al cielo, possa portare un vero cambiamento su questi tre piani?
Di politica estera si è sempre occupato ben poco, tutto
preso com’è sempre stato dai sinuosi giochi interni della scena politica
italiana, a livello locale o nazionale. Quello che di sicuro ha capito bene è l’eterna,
granitica norma di chiunque voglia accedere al potere in Italia: non bisogna
inimicarsi gli americani. E in questo, di sicuro, c’è ben poco di nuovo.
Ma veniamo alla politica economica. C’è da uscire dalla
crisi. Cos’ha da dire Renzi in proposito? Ecco cosa ha da dire, cito dal suo
sito ufficiale: “Usciremo dalla crisi solo se metteremo finalmente mano alle
riforme strutturali di cui tutti parlano da decenni e che invece stiamo ancora
aspettando.” Una frase così dice tutto. Le riforme strutturali di cui tutti
parlano da decenni. Quali? Quelle alla Tony Blair e alla Margaret Thatcher,
evidentemente. Perché non so di quali altre riforme strutturali si sia parlato
tutto questo tempo. E di quelle, veramente, ne abbiamo avute fin troppe, in
Italia e in mezzo mondo. Non solo: sono proprio quelle che hanno causato i formidabili
squilibri nella distribuzione della ricchezza che sono all’origine della crisi
che stiamo vivendo e di cui il bravo Renzi sembra preoccuparsi ben poco,
esattamente come i suoi predecessori. Il suo Jobs Act avrà forse qualche
merito, se ce ne vedono persino quei biechi sovversivi di Maurizio Landini e
Susanna Camusso, ma certamente, per esempio, non ha il merito di ammettere un
fatto molto semplice, riconosciuto ormai da tutti i più avveduti economisti, a
partire da Joseph Stiglitz: ciò che sta strangolando le imprese e l’economia
del paese è il vuoto di domanda. Il vero problema non è il credito o il costo
del lavoro, è che non si riesce a vendere quello che si è capaci di produrre. E
questo è dovuto sì alle politiche di austerità, ma è dovuto soprattutto, a
questo punto, ai bassi salari e alla concentrazione della ricchezza. Non è soltanto
una questione di “cuneo fiscale”. E’ una questione di distribuzione del
reddito. Finché non si riconosce questa
elementare verità, non si esce dal solco del pensiero unico, come, in buona
sostanza, non ne esce l’intero Jobs Act. Su questo piano, Renzi non si
allontana per nulla, almeno per ora, dalle logiche dei suoi predecessori. Ci
mette solo, forse, un pizzichino in più di fantasia. Ma di quella era già maestro
Silvio Berlusconi, e con quali risultati lo si è visto.
Ma c’è un altro colpo d’ala nel pensiero economico renziano.
Basta con l’austerity. Pochi se ne ricordano, ma questo è proprio quello che
aveva proclamato a gran voce Mario Monti, subito dopo la sua famosa manovra. E
lo aveva detto battendo il pugno sul tavolo in Europa. Adesso Renzi ci aggiunge
una preziosa precisazione: si tratta di “superare il tre per cento”, cioè il
famoso vincolo di Maastricht al disavanzo in percentuale sul Pil. Proprio
quello che il temibile Olli Rehn ci aveva sonoramente intimato di non fare,
appena qualche settimana fa.
E’ una mossa ardita, senza dubbio. Non si sa bene come si
concili con il concetto che “sacrosanto è lo sforzo alla riduzione del debito”,
che si ricava sempre dal suo sito ufficiale. Ma non è questo il punto. Il punto
è che una mossa del genere non è solo una sfida aperta alla Germania, ai falchi
della Bundesbank e di tutto il nord Europa, al trattato di Maastricht e alla
nostra Costituzione appena malauguratamente modificata per impedire simili
audacie: è soprattutto una sfida ai potentati dei mercati finanziari. Per poter
lanciare una sfida simile bisognerebbe innanzitutto invocare quella profonda
riforma del loro assetto che impedisca a quei potentati di dettare legge ai
governi nazionali. Ma di questo, nei discorsi di Renzi, neppure l’ombra più
vaga. In assenza di questo coraggio, l’audacia di Matteo Renzi in questa
materia ricorda soltanto l’avventatezza di Silvio Berlusconi esattamente nello
stesso senso. E con quali risultati lo si è visto.
E veniamo al terzo punto. Berlusconi, appunto. L’atteggiamento
complessivo di Renzi nei suoi confronti ricalca esattamente quello dei suoi predecessori.
Ma forse in peggio, perché non so quale dei signori della vecchia nomenclatura avesse,
per esempio, la faccia tosta di intrattenere rapporti così cordiali con un
maestro d’inganni e di frodi come Denis Nardini. Matteo Renzi ha di Berlusconi
esattamente lo stesso concetto di D’Alema. Non quell’estremista autoritario e obliquamente
facinoroso che è ed è sempre stato, ma un degno avversario da “battere
politicamente”, con cui va benissimo contrattare e concordare le regole del
gioco, oggi la legge elettorale, ieri la riforma della Costituzione. Andare a concordare
la legge elettorale con un simile figuro, appena condannato in via definitiva
per delitti contro lo stato, cioè contro tutti noi, è veramente un’idea inconcepibile.
Ma c’è poco da stupirsene: siamo esattamente nella logica dei suoi predecessori.
Infatti, a quanto pare, la cosa non ha destato nessuno scandalo, solo sottili
analisi politiche sulle segrete intenzioni dell’ex-rottamatore.
Ma veniamo a concludere. Per quanto detto fin qui, in Renzi
non abbiamo trovato proprio nulla di nuovo. L’essenza della sua linea politica
non è altro che un travestimento del vecchio pensiero del vecchio centro-sinistra.
Ma qualcosa di nuovo, ovviamente, c’è. Innanzitutto quel
carisma che era sempre mancato ai suoi predecessori. La capacità di
affascinare, di trasmettere entusiasmo, di trascinare gli animi. E’ una qualità
tutt’altro che secondaria e superflua. Il problema è a quali fini la si mette a
frutto. In più, Renzi ha dimostrato finora un notevole intuito politico. La
capacità di cogliere i temi che di volta in volta gli possono portare consenso,
di capire da quali parti questo consenso può arrivare. Di cogliere i punti
deboli dell’avversario di turno. E così via. Tutte qualità preziose in
politica. Il problema è a quali fini si mettono a frutto.
Renzi ha qualcosa di D’Alema e qualcosa di Berlusconi. E
qualcosa non ha di tutt’e due. Di D’Alema non ha l’antipatia e il profondo
grigiore, di Berlusconi non ha lo sprezzo della legalità e le televisioni. In
comune con D’Alema ha la mancanza di una visione del mondo, di un’idea nobile e
alta della società che vogliamo costruire. Come D’Alema, non ha una fede e non
ha un ideale, ha soprattutto il proposito di esercitare il potere. In comune
con Berlusconi, oltre al carisma, ha il proposito di un sistema politico a
modello paterno, l’uomo solo al comando. Renzi è tutto per l’elezione diretta
di questo e quello (perfino del presidente della commissione europea, un’idea
degna di un Grillo). Il capo investito del consenso popolare che esercita il
potere nel modo più pieno possibile. Anche questo concetto, peraltro, è tutt’altro
che nuovo, risale a Cromwell e a Bonaparte, con tutto quello che c’è stato in
mezzo.
A differenza di Berlusconi, tuttavia, Renzi si gioca tutto
alle prossime elezioni, quando verranno. Se le perde è finito, è naufragato il
suo attacco al cielo.
Ebbene, staremo a vedere. Ci auguriamo che non le perda,
perché tutto il resto sarebbe peggio. Ma soprattutto che, se le vince, si
dimostri migliore di quel che ci è apparso finora.
Post scriptum. Non
si può tacere della gloriosa battaglia sui “costi della politica”, l’emblema del
“nuovo” portato da Renzi. Ha già ottenuto, pressappoco, l’abolizione del finanziamento
pubblico ai partiti. E’ una cosa che, insieme alla famosa riduzione degli
stipendi dei parlamentari, sta tanto a cuore a tantissimi italiani. I quali
però non sembrano rendersi conto che le due cose messe insieme pesano per una
frazione irrisoria della nostra spesa pubblica, molto meno di un centesimo. Pesano
molto di più le tangenti e gli appalti truccati, che non hanno nulla a che fare
col finanziamento pubblico, la cui abolizione, semmai, rischia di farli
crescere a dismisura. Come non sembrano rendersi conto, quegli indignati
italiani, che l’alternativa al finanziamento pubblico è semplicemente il
finanziamento privato, che garantisce un enorme leva ai potentati economici che
hanno i mezzi per condizionare i politici. Diciamo che si tratta di una misura per
lo meno discutibile. Rientrano nel medesimo filone l’abolizione del senato
elettivo e la riduzione del numero dei parlamentari, due cose non irragionevoli,
ma che di per sé non garantiscono proprio nulla di radicalmente nuovo, checché
ne pensi Napolitano. Quanto all’altra gloriosa battaglia, quella sulla legge
elettorale, Renzi ha forse il merito di aver imposto finalmente una conclusione
di quell’epopea. Ma c’è da temere che non sia delle migliori. Propone il “sindaco
d’Italia” e il suo esatto contrario, il Mattarellum aggiustato, insieme al
sistema spagnolo riveduto e peggiorato, il contrario di tutt’e due. L’unica
cosa che hanno in comune è che Renzi può vincere con tutti e tre, o almeno così
crede lui. Ma questa è un’altra storia, su cui speriamo di ritornare.
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RispondiEliminaCondivisibile la tua analisi, Alberto. Aggiungerei soltanto che.. io Renzi un lo regge proprio! e se è vero che una sua non vittoria sarebbe peggio, come dici tu, è pur vero che la sua vittoria non sarebbe il meglio per il paese. Va poi considerato che, se nella segreteria di Renzi non c'è nessuno della vecchia nomenclatura, a me pare che la sua sia una squadra operativa dove però le reali funzioni di direzione politica saranno altrove, e che quindi abbiamo assistito ad una operazione più di facciata che altro. Il vero numero due del Pd renziano è infatti Graziano Delrio, l’attuale ministro delle Regioni, uomo delle mediazioni e di collegamento con i prodiani. Evito poi di parlare della scelta di Faraone alla scuola e al welfare...uomo assai discusso e in odor di collusioni pesanti. Concludo dicendo che di Berlusconi Renzi ha poi la stessa identica capacità di raccontarci le più sonore balle, credendoci egli stesso a tal punto da farle apparire vere, insieme all'abilità di cambiare versione nel giro di pochissimo tempo. Insomma uomo di spettacolo e di immagine, il cui spessore etico a me pare del tutto assente.
RispondiEliminaConcordo pressappoco su tutto, in particolare sull'ultimo punto. Colgo l'occasione per specificare che, se c'è da augurarsi che Renzi non perda, è solo perché una sinistra non c'è. Se ci fosse...
Eliminaalla ricerca ...della sinistra perduta?! non è e non c'è più tempo...ormai. Sono su un'altra sponda e guardo con ironia l'avvicendarsi astuto del potere. Colpevole mi sento, di tutta la mia umanità.
EliminaHo letto con interesse e larga condivisione l’articolo, soprattutto quando i giudizi riguardano i fatti “oggettivi” della politica.
RispondiEliminaUn passaggio a me pare debole.
“Ma qualcosa di nuovo, ovviamente, c’è. Innanzitutto quel carisma che era sempre mancato ai suoi predecessori. La capacità di affascinare, di trasmettere entusiasmo, di trascinare gli animi. E’ una qualità tutt’altro che secondaria e superflua”.
E forse, aggiungerei, pericolosa in una società di pari.
Non sarei d’accordo. Anche questo giudizio a me sembra in continuità con l’errore della vecchia classe dirigente, che riconosceva a Berlusconi un carisma (ed era, in verità, il carisma di soldi e dell’affabulazione per “servi liberi”).
In realtà, specie in Italia, il carisma non è una qualità, verificabile attraverso un elenco di virtù eccezionali, di una persona, ma solo la misura del risultato del successo politico e mediatico conquistato; e si sa quanto sia facile per il nostro popolo, privo di cultura liberaldemocratica, entusiasmarsi rapidamente. Lasciamo il carisma per altri usi, pur senza scomodare Weber. O no?
Ecco un'altra osservazione sensata, che mi dà modo di precisare. Il carisma, proprio per Weber, non è il possesso qualità positive e di virtù eccezionali, ma solo la capacità di far credere di possederle, che oggi si manifesta appunto nel successo politico e mediatico. E' senza dubbio una qualità pericolosa per una democrazia, anche perché non è affatto detto che si accompagni davvero ad alte virtù, anzi di solito è il contrario, come nel caso di Berlusconi e Mussolini. Purtroppo in Italia, in questo momento, non è una qualità tanto superflua, perché si è creato un clima che la richiede. E' un clima che non mi piace affatto e per questo sono contrarissimo all'elezione diretta di chicchessia.
RispondiEliminaConcordo su tutto. A cominciare, per ovvie ragioni, dalla rivalutazione degli anziani.
RispondiEliminaALFIO MASTROPAOLO
Condivido tutto. Ti segnalo un'unica imprecisione: il finanziamento pubblico ai partiti NON è stato eliminato. Il trucco del 2 per mille è solo un modo per mantenerlo, nascondendolo.
RispondiEliminaMa dov'è la sinistra?
Francesco Baicchi
Bravo, condivido tutto, e la tua visione mi pare penetrante, lungimirante e completa. Lucia Li Pera
RispondiEliminaCommento di ANGELO BARACCA:
RispondiEliminaCaro Alberto,
la situazione è disperante! Non riesco ad adeguarmi alla tua conclusione - strettamente logica all'interno di questa situazione- che se Renzi perdesse sarebbe “peggio”. Mi viene in mente il famoso Candide di Voltaire: ma per quale ragione dobbiamo sempre accontentarci del meno peggio? Non voglio sostenere neanche il contrario, il “tanto peggio tanto meglio”, ma sono sempre più convinto che questo paese, questo popolo, abbiano bisogno di una rifondazione radicale, di una rieducazione dalle fondamenta: io rientro da un periodo all'estero in cui non potevo nemmeno accedere alle notizie italiane, ma da una mail che ho ricevuto mi pare ci sia stato un sondaggio secondo il quale la maggioranza degli italiani sarebbe pronta ad accettare un nuovo regime di tipo fascista (autoritario). Vero o no, non posso trascurare la profonda impressione che in tutti questi anni, andando all'estero, mi faceva la domanda incredula di TUTTI "Ma come fate a votare Berlusconi?"; e ora mi pare che si ripeta pari pari per Renzi, il "carisma" di cui parlate per il caso italiano mi sembra più simile all' “istrione” (non è forse stato così anche per Grillo?), ambiziosissimo e spregiudicato, senza trascurare il “progetto eversivo” del precedente istrione.
Detto questo, aggiungo qualche postilla (retorica) alle tue considerazioni.
1) Per il gruppo "dirigente" (?) del PD la questione mi sembra più grave di una "incapacità di comprendere il carattere radicalmente eversivo della costruzione politica" di Berlusca. Tendo a pensare che il vero e proprio “sostegno” del PD, che ha consentito a Berlusca di spadroneggiare per 20 anni, sia stato ben più consapevole, un'adesione organica alla linea berlusconiana (il che non vuol dire che tutti i dirigenti PD abbiano capito il vero disegno di Berlusca, ma almeno in superficie gli andava benissimo quello che faceva: da tempo dicevo che al PD faceva molto comodo che qualcuno facesse il lavoro sporco, ora vediamo come tocchi a loro farlo). E Renzi lo ha ripescato e sdoganato volutamente, con una protervia di cui forse molti dei vecchi dirigenti si sarebbero per lo meno vergognati. Insomma, mi sembra di male in peggio.
2) Quanto alla "supina accettazione di tutti i dogmi del pensiero unico neoliberista in economia", mi sembra che Renzi rimanga perfettamente in linea, anzi ancora più convintamente su quella linea, che giustamente chiami blairiana-tatcheriana (mi pare che i legami di Renzi con Blair siano diretti). Io credo (temo) che Renzi agirà ancora più a cavolo, perché mi sembra che non abbia NESSUNA IDEA, se non (come tu dici) quella di imporsi, di primeggiare, di vincere. Il suo "nuovo" mi sembra solo spregiudicatezza improvvisata, pur di apparire diverso dagli altri. Posso sbagliare, ma stento a pensare che Renzi abbia un "disegno politico" paragonabile a quello di Berlusca, insomma mi sembra un cialtrone miserabile, che sa vendere molto bene il suo vuoto pneumatico. Per esempio, mi solleva per lo meno dubbi l'entourage di cui si è circondato, ma non ho elementi concreti per valutare.
Un articolo meraviglioso al quale non posso far altro che battere le mani. Grande riferimento a un grande uomo che fu N. Bobbio, uomo del dubbio e del (VERO e ahimè quasi estinto) dialogo. Queste cose sarebbe un piacere sentirle anche a lezione ogni tanto, oltre alle solite chiacchiere da telegiornale; sarebbero un lume raro nell'oscura ignoranza di noi studenti della nuova generazione.
RispondiEliminaCome sarebbe, io chiacchiere da telegiornale a lezione? Non me n'ero accorto: che le faccia quando non sto ascoltando quello che dico?
EliminaIl massimo argomento politico che si riesce a tirarle fuori professore è ogni tanto qualche vago accenno all'evento del giorno senza troppi giri di parole, questo intendo con chiacchiere da telegiornale.
EliminaOvviamente non mi riferisco alla qualità della conversazione quanto invece alla sintetizzazione e quindi l'impossibilità di arricchire gli argomenti con nomi e fatti che un giovane ignorante come me non sentirebbe mai al tg o sul giornale e troverebbe di sicuro più interessanti e soddisfacenti.