mercoledì 8 dicembre 2010

Wikileaks e altri demoni: Arcana imperii e Arcana dominationis

I segreti dei regi al folle volgo
ben commessi non sono
Torquato Tasso, Re Torrismondo

Circa un quarto di secolo fa, quando le avventure di Wikileaks erano tutte di là da venire, Norberto Bobbio scrisse un saggio dal titolo “La democrazia e il potere invisibile” in cui discuteva l’uso del segreto nell’esercizio del potere in regime democratico.
Bobbio prendeva le mosse dalla constatazione che la visibilità del potere e la pubblica conoscibilità dei suoi atti erano stati una rivendicazione portante delle grandi rivoluzioni liberali, in conflitto con la pratica del segreto che occultava gli arcana imperii e gli arcana dominationis nelle monarchie dell’ancien régime.
“Vi è niente di segreto nel Governo Democratico?” ammoniva nel 1799 il repubblicano napoletano Michele Natale, “Tutte le operazioni dei governanti devono essere note al Popolo Sovrano, eccetto qualche misura di sicurezza pubblica, che gli si deve far conoscere, quando il pericolo è passato.”
Il problema che Bobbio si poneva era inquadrato nella riflessione sulle “promesse mancate” della democrazia. Questa “non ha mantenuto la promessa dell’autogoverno. Non ha mantenuto la promessa dell’eguaglianza […] sostanziale. Ha mantenuto la promessa di debellare il potere invisibile?” si chiedeva lo studioso.
La risposta naturalmente era negativa, anche se l’argomentazione in materia non è la parte maggiore, né la più attuale, di questo saggio.
Quello che è altamente attuale è la domanda. Che potremmo riformulare in questi termini: fino a che punto ed entro quali limiti, la democrazia può permettersi di ricorrere al segreto sugli atti del potere, senza confliggere con i suoi principi fondanti? Come ricorda Bobbio, democrazia è il governo “controllato dal popolo” e “come potrebbe essere controllato se si tiene nascosto?”.
Il caso dei documenti emersi ieri, riguardanti i grandi impianti strategici di utilità anche civile, come i gasdotti o le fibre ottiche, è abbastanza emblematico. Nessuno potrebbe sostenere che sia nell’interesse generale segnalare queste vulnerabilissime e protettissime infrastrutture all’attenzione di potenziali sabotatori. Ma questo non vale certo per molti altri file di Wikileaks.
Il problema è dunque: dove deve finire il segreto? Un problema non semplice da risolvere. Sarebbe bello se tutto il gran rumore intorno a Wikileaks producesse, piuttosto che sorrisetti di compiacenza o reazioni rabbiose alla Sarah Palin, una riflessione sensata in materia.
Quello che a tutti dovrebbe essere chiaro è che in un sistema democratico non può bastare che il segreto sia “utile”. Non può bastare che sia utile al potere. Deve essere soprattutto giusto. Cioè utile non a quella parte politica o ideologica che esercita il potere, e ha il potere di gestire il segreto, ma utile alla collettività nel suo insieme. Possiamo tollerare gli arcana imperii, se sono nell’interesse di tutti, non gli arcana dominationis, che sono nell’interesse di un disegno politico. Per questo è stato creato, per esempio, un Comitato Parlamentare per i servizi segreti. Per questo i suoi conflitti con l’esecutivo andrebbero presi molto seriamente. Per questo la legislazione in materia di servizi e di segreto dovrebbe essere oggetto di più aperto dibattito: non, s’intende, sui contenuti del segreto, ma sulle sue regole.
Ma c’è dell’altro. Mentre agli albori della democrazia, il segreto più minaccioso per l’interesse pubblico era il segreto dei poteri pubblici, oggi esiste un’altra forma di segreto potenzialmente pericoloso per l’interesse generale, che è il segreto intorno a funzioni di immensa rilevanza pubblica gestite da soggetti privati.  Pensiamo alle telecomunicazioni, alle reti energetiche, alla filiera degli armamenti, e così via. Affidando a mani private la gestione di queste funzioni di cruciale interesse pubblico, si sono creati formidabili centri di potere che hanno istituzionalmente, in quanto privati, la potestà di coprirsi nel segreto. Non sarebbe il caso di riflettere sulle regole necessarie in proposito?
Nel suo saggio del 1984, Bobbio non fu abbastanza preveggente da mettere in campo questo problema. Fu invece profetico rispetto ad un altro pericolo, al quale dedica la chiusura del suo discorso, quello che chiama il “potere onniveggente”.
“Oggi non è più il frutto di un’immaginazione stravagante l’idea che la democrazia diretta sia resa possibile dall’uso dei computer. E perché lo stesso uso dei computer non potrebbe rendere possibile la conoscenza capillare dei cittadini […] da parte di chi detiene il potere? Già oggi è impossibile equiparare la conoscenza che aveva dei propri sudditi un monarca assoluto come Luigi XIII o Luigi XIV con quella che può avere dei suoi cittadini il governo di uno stato ben organizzato. […] Quanto poco [conoscevano quei sovrani], in paragone con le enormi possibilità che si aprono a uno stato padrone dei grandi memorizzatori artificiali.”
Aggiungeva Bobbio:
“Se poi questa prospettiva sia soltanto un incubo o un destino, nessuno è in grado di prevedere.”
Un incubo o un destino?
Oggi sappiamo che si tratta di un incubo che è in grado di diventare il nostro destino. Il lettore abbia la pazienza di consultare questi due articoli, che riguardano l’uno il potere di Google, il canale su cui viaggia questo blog, l’altro il potere di Facebook asservito al potere di uno stato, la Repubblica Italiana.



Avendo consultato, o immaginato, il lettore consideri la conclusione di Bobbio:
“Se poi questa prospettiva sia soltanto un incubo o un destino, nessuno è in grado di prevedere. Sarebbe ad ogni modo una tendenza opposta a quella che ha dato vita all’ideale della democrazia come ideale del potere visibile: la tendenza non già verso il massimo controllo dei sudditi sul potere, ma verso il massimo controllo sui sudditi da parte di chi detiene il potere”.


1 commento:

  1. ...solo grazie per avere ricordato Michele Natale :-)

    Pierfrancesco Natale

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