Il proiettile le aveva forato il cranio, trapassato il cervello ed il collo e si era andato a piantare nella spalla a poca distanza dalla colonna vertebrale.
La quattordicenne della valle di Swat, colpita a morte il 10 ottobre per ordine del comando locale dei Taliban, deciso a mettere a tacere la sua voce in difesa del diritto all’istruzione femminile, è stata salvata dalla lunga operazione subita il giorno stesso a Peshawar, capoluogo della sua regione, il Khyber Pakhtunkhwa nel nord-ovest del Pakistan.
Aveva undici anni quando, nel 2009, i Taliban, impossessatisi della valle di Swat, avevano proibito l’istruzione femminile e raso sistematicamente al suolo 150 scuole per ragazze. Da allora il suo blog sul sito della Bbc aveva tenuto informato il mondo sui drammatici avvenimenti nella valle. Allo stesso tempo si era dedicata attivamente ad organizzare la resistenza delle ragazze contro la discriminazione. Nel dicembre 2011 aveva ottenuto in Pakistan il Premio nazionale giovanile per la pace.
In un incontro tenuto nell’estate del 2012, i leader locali dei Taliban avevano deliberato all’unanimità la sua uccisione.
Trasferita prima a Rawalpindi e poi, il 15 ottobre a Birmingham in Inghilterra, Malala è uscita dal coma il 17 ottobre e ha cominciato a comunicare scrivendo. Da allora è andata costantemente migliorando: tutti gli organi vitali risultano intatti, l’infezione si è estinta, e, pur essendo ancora sottoposta a tracheostomia, è già in grado di camminare senza assistenza. Il 26 ottobre ha potuto rivedere i suoi genitori. Avrà bisogno in futuro di un intervento di ricostituzione del cranio, ma sarà dimessa dall’ospedale entro poche settimane.
Le autorità della valle di Swat, ormai da tempo liberata dal controllo dei Taliban, hanno annunciato che un college femminile sarà rinominato in suo onore.
Malala vive in un angolo di mondo in cui la politica, i diritti, la fede non sono chiacchiera, rumore e spettacolo come da noi: sono questione di vita e di morte. A chi non conosce quei posti, è difficile immaginare quanto coraggio ci vuole per fare quello che hanno fatto lei e suo padre Ziauddin. Se vi capitasse di incontrarlo, non chiedetegli soltanto che ne pensa dei Taliban. Chiedetegli che ne pensa dell’America, e di come sta trattando il suo paese.
Ciao Alberto,
RispondiEliminaquante Malale vogliamo? Ne vogliamo altre mille anche in Siria? È ora di prendere una posizione netta sulle bande di lanzichenecchi che stanno distruggendo quel paese. In due anni non ho visto sui media UN SOLO reportage serio, né ho mai sentito interviste alla gente di Damasco o di Aleppo. Centomila cristiani costretti a lasciare Homs. Centomila. Ma ci rendiamo conto di quello che sta succedendo o vogliamo continuare a baloccarci con i "rivoluzionari democratici"? Non mi interessa se "all'inizio" c'erano i giovani in piazza. I giovani scendono in piazza anche a Madrid, Atene e Roma, per gli stessi motivi. Ma le bande qatariote-turco-wahhabite armate dalla Cia sono un'altra cosa. Le due cose si accordano come i cavoli a merenda. Basta, non voglio che la Siria diventi come l'Arabia Saudita, che è ciò che gli Americani vogliono. Assad, come Gheddafi, viene combattuto dai "ribelli" non perchè autoritario, ma perché laico e secolare! Gli si attribuisce, come al povero Moammar sventrato dai freedom fighters wahhabiti, di essere ateo, non di essere un dittatore! Spero che inizi la fase del risveglio dal coma, altrimenti siamo finiti.
http://news.antiwar.com/2012/11/01/78-soldiers-slain-as-syrian-rebels-release-video-of-executions/
http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/the-plight-of-syrias-christians-we-left-homs-because-they-were-trying-to-kill-us-8274710.html
Caro Stefano, la situazione della Siria è semplicemente spaventosa. Ci voleva il video del massacro dei soldati perché ci si accorgesse di quello che sta succedendo da mesi? L'unica speranza è che, anche in vista di quanto sta succedendo in Libia, qualcuno cominci finalmente ad aprire gli occhi.
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