Contenere il debito è indifferibile. Ma non perché il debito sia in sé insostenibile, bensì perché lo rende tale la presenza di quella colossale massa di liquidità finanziaria speculativa che, grazie alle riforme neoliberiste degli anni Novanta, fluttua senza vincoli o limitazioni da un capo all’altro del pianeta, incombendo come un diluvio universale sul destino di tutti i suoi abitanti.
La presenza di questa formidabile minaccia è tutt’altro che indispensabile. Anzi è altamente nociva. Non ha prodotto alcuno dei benefici che prometteva, sotto forma di una “efficiente allocazione delle risorse finanziarie”. Invece ha messo a rischio non solo i risparmi di tutti, ma la stessa funzionalità della moneta, di qualsiasi moneta, come mezzo di pagamento generale. E’ questo che è davvero insostenibile: e certamente verrà il giorno in cui tutti finiranno per riconoscerlo.
Ma in attesa che tramontino le fosche mitologie che ci ottenebrano, intanto è il nostro debito che viene dichiarato insostenibile. Perché? Perché ha raggiunto il 126% del Pil.
Il rapporto debito/Pil continua ad essere considerato la misura principe della sostenibilità di un debito sovrano, nonostante le voci che ormai si levano contro questo singolare malinteso da parte di economisti di tutte le tendenze.
Il rapporto debito/Pil è una misura utilissima per confrontare fra loro le dimensioni del debito di paesi diversi, va malissimo per confrontarne la solvibilità. E questo per una serie di ragioni.
L’uso di questo rapporto si basa sul principio che il debito di uno stato vada ripagato attingendo al reddito di quel paese. Ma il reddito è un flusso annuo, mentre il debito è uno stock accumulato nel corso di decenni. Se un debito sovrano dovesse essere ripagato nel giro di un anno, ben pochi paesi al mondo sarebbero in grado di farlo. Certamente non la Germania , che viaggia ormai intorno a un rapporto del 90%, che, in una simile ipotesi, non sarebbe certo più sostenibile del nostro.
I neoliberisti amano paragonare le finanze di uno stato a quelle di una famiglia, per sostenere che il bilancio va tenuto in pareggio, come principio economico e “morale” di buona amministrazione. Se non lo facciamo, stiamo “vivendo al di sopra delle nostre possibilità”. E’ quello che si sente ripetere da tutte le parti a proposito della situazione italiana. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità! Dunque dobbiamo soffrire.
Ne siamo sicuri? Ricorriamo ad un esempio. Una famiglia chiede un mutuo ad una banca, per esempio per comprare una casa. Supponiamo che la famiglia abbia un reddito annuo di 100.000 euro. Forse che la banca riterrebbe perciò stesso “insostenibile” un mutuo di 126.000 euro? Certamente no. La banca si preoccuperà di accertare se è sostenibile per la famiglia quella frazione del reddito che occorre per pagare interessi e quote annue di capitale.
Naturalmente si deve obiettare che la banca ha la sicurezza dell’immobile ipotecato a garanzia del prestito. Ossia che c’è un capitale a fronte del prestito, non soltanto un reddito. Appunto.
Esiste un capitale a fronte del prestito allo stato italiano? Esiste. Esiste per esempio il patrimonio dello stato. Il cui valore non è facile da quantificare, ma supera certamente di parecchio il valore del debito. E’ vero tuttavia che smobilizzare questo patrimonio per far fronte al debito è in parte impossibile, in parte problematico e in parte altamente inopportuno.
Ma questo è irrilevante. Perché quando si invoca il rapporto debito/Pil non è la ricchezza dello stato che si chiama in causa, ma la ricchezza dell’intero paese. Ora, come stanno le cose con la ricchezza dell’intero paese?
Ecco come stanno. Mettiamo da parte il patrimonio dello stato. Mettiamo da parte il patrimonio delle imprese, che sono soggetti a rischio solitamente indebitati. Guardiamo solo al patrimonio delle famiglie.
Il patrimonio lordo totale delle famiglie italiane ammontava nel 2010 (l’ultimo dato disponibile, fonte Banca d’Italia) a 9525 miliardi di euro, quasi il quintuplo del debito pubblico attuale. Certo, le famiglie hanno debiti. Bene, togliamoli. Otteniamo il patrimonio netto: 8.640 miliardi nel 2010, ben oltre il quadruplo del debito pubblico attuale. Ma in cosa consiste questo patrimonio? Ha davvero qualcosa a che fare col debito pubblico? La parte maggiore è formata da “attività reali”, leggi soprattutto immobili, per un totale di 5.925 miliardi nel 2010. Di questi, 4.950 miliardi sono abitazioni. Possiamo considerare che questa ricchezza reale basti e avanzi a garantire l’intero debito aggregato delle famiglie, che ammonta ad appena 887 miliardi.
Quello che resta è pari, sempre nel 2010, a 3600,45 miliardi. Questa è la ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane. Ben oltre il doppio del Pil attuale. E questo non è un reddito, con cui ci si debba mantenere. E’ la ricchezza che non ci serve spendere, pronta per essere prestata. Ecco cosa ha a che fare col debito italiano.
Dichiarare “insostenibile” il nostro debito è come se la banca ritenesse impraticabile un prestito di 126.000 euro ad una famiglia che ha un reddito annuo di 100.000, un capitale finanziario di circa 220.000, un capitale immobiliare di circa 300.000 (al netto di altri debiti) ed in più un capitale di qualche altro centinaio di migliaia di euro che è difficile, inopportuno o impossibile smobilizzare.
Abbiamo vissuto “al di sopra delle nostre possibilità”? Ma non fateci ridere! Abbiamo accumulato una ricchezza finanziaria netta che è quasi il doppio del nostro debito sovrano. Non abbiamo proprio nessun bisogno del velenoso soccorso dei mercati finanziari globali. Cioè: non ne avremmo bisogno se non fosse che l’operazione di stravolgimento dei mercati messa in atto dagli anni Ottanta in poi ha scientificamente mirato a far sì che il credito verso lo stato fosse sottratto alle famiglie italiane e rovesciato in balia della marea fluttuante dei mercati. Un tempo la ricchezza finanziaria delle famiglie era investita in larga parte direttamente in titoli di stato. Era un impiego stabile e sicuro. Ma questo non stava bene. Bisognava metterla nelle mani dei signori dei mercati, attraverso i fondi d’investimento, i fondi pensione, le gestioni patrimoniali e tutte quelle altre belle istituzioni innovative. Oggi è solo per il 5% prestata direttamente allo stato.
Come se la famiglia prestasse tutti i suoi soldi a qualcun altro e poi rischiasse di farsi pignorare la casa dalla banca, perché risulta insolvente.
Bene, fermiamo qui la nostra analogia. Il paese non è una famiglia, lo stato non è il paese e i mercati finanziari non somigliano ad una banca, ma ad una gigantesca macchina dedita al gioco d’azzardo che ragiona come il peggiore degli strozzini senza che alcuna legge la tenga a freno.
Questa macchina non è lì per caso, né per qualche oscura necessità storica partorita dalle viscere imperscrutabili di un mostro chiamato Capitale. E’ stata creata ad arte dalla volontà dei governi più potenti del mondo e dalle istituzioni finanziarie internazionali manovrate da Washington e New York. Questa macchina ha uno scopo, ed è uno scopo politico. Questo lo abbiamo già ripetuto a sufficienza su questo blog. E ripetiamo ancora: se c’è qualcosa di veramente insostenibile è l’incombere di questa macchina. E’ soprattutto la speculazione al ribasso dei grandi operatori finanziari che rende insostenibile il debito gonfiando assurdamente i tassi d’interesse.
Dobbiamo concludere che se non fosse per questa peculiarissima disgrazia, lo stato italiano potrebbe tranquillamente seguitare a indebitarsi fino al collo senza limiti? Assolutamente no. E non perché il debito in sé sia “insostenibile”. Il debito pubblico non è come un mutuo. Non c’è alcun bisogno di rimborsarlo in vent’anni. Finché c’è chi è disposto a rinnovare il prestito ed ha i mezzi per farlo, può continuare a riprodursi all’infinito. E se i mercati non fossero globali, in Italia i mezzi ci sarebbero in abbondanza.
Ma se anche così fosse, il debito andrebbe abbattuto comunque, per un’altra ragione, anzi per due. Primo, perché la presenza di un debito di questa portata tende inevitabilmente a spingere in alto i tassi d’interesse. E gli alti tassi d’interesse non sono un fatto semplicemente tecnico. Costituiscono una rendita di immense proporzioni che affluisce a favore di chi non produce. Fanno sì che la ricchezza si moltiplichi da sola in mano a chi la detiene, senza alcun merito proprio. Gli alti tassi sono un danno per l’economia del paese, una spina nel fianco delle imprese e un affronto al principio di equità. In secondo luogo, un debito di questa portata genera inevitabilmente rischio, poiché lasciato a se stesso tende a crescere verso il punto in cui nessuno sarà più disposto a rinnovarlo.
Dunque il debito va comunque contenuto. Ma non c’è nessuna ragione obiettiva per imporci il titanico sforzo di dimezzarlo nel giro di vent’anni, come hanno improbabilmente stabilito i vertici dell’Unione europea. Nella situazione in cui ci troviamo, basterebbe non farlo aumentare.
Ma per far questo, una manovra come quella attualmente in discussione in parlamento è effettivamente indispensabile. Quello di cui ci si dovrebbe preoccupare è che non ci siano gruppi o categorie a cui si impongano sacrifici insostenibili, come sta capitando agli esodati, mentre ad altri si chiede appena un obolo. Il sacrificio distribuito in modo equo sarebbe tutt’altro che insopportabile. L’impresa non è certo impossibile: richiede solo saggezza e misura. Virtù che, almeno di questi tempi, nel nostro parlamento non si sprecano.
Post scriptum, 3 novembre. Oggi su ItaliaOggi, Riccardo Ruggieri racconta di un suo amico giapponese: "Dice che come popolo siamo degli sprovveduti a non riconprarci il debito, come hanno fatto loro, e liberarci dalle losche agenzie di rating anglosassoni e dai banchieri mafiosi delle banche d'affari occidentali". C'è un uso estensivo del termine mafiosi, ma per il resto, che dire? Ci voleva un giapponese...
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