lunedì 21 marzo 2011

Guerra in Libia: per una ragionevole posizione pacifista.


Il dramma che oggi sta investendo la Libia impone alla coscienza di chi si ritiene pacifista, al pensiero di quanti hanno sempre rifiutato la guerra, una raffica di interrogativi cruciali. Primo fra tutti: si poteva restare a guardare mentre Gheddafi sterminava gli insorti di Bengasi, come aveva minacciato apertamente, e come era sul punto di fare?

Non si poteva restare a guardare.
Ma allora? Se non questa guerra, che cosa?
La risposta è tutt’altro che semplice, tanto è vero che nel dibattito che si è immediatamente scatenato in campo pacifista e nonviolento, impera la più grande confusione.
Per tentare di fare chiarezza, vorrei proporre sinteticamente un’argomentazione che investa diversi piani.
In primo luogo vorrei discutere che cosa dovrebbe prevedere per un caso di questo genere un ordinamento internazionale equo, legittimo e condiviso. In secondo luogo, si tratta di capire che cosa prevede il diritto internazionale vigente e fino a che punto questo intervento sia conforme alle sue norme e ai suoi principi. In terzo luogo vorrei esaminare che cosa avrebbero potuto fare i governi applicandolo nel modo più giusto, legittimo ed efficace. In quarto luogo, cosa possono fare i movimenti per la pace.
Per quanti non hanno la pazienza di seguire l’intera argomentazione, sintetizzo in poche righe il suo percorso: perché fosse pienamente accettabile un intervento armato come questo, ci vorrebbe un’autorità internazionale democraticamente legittimata e controllata; poiché questa autorità non esiste, andrebbero per lo meno rispettate la lettera e lo spirito del vigente Statuto dell’ONU, cosa che questo intervento non fa; dato che l’intervento è cominciato, andrebbero applicati i paragrafi 2 e 28 della risoluzione ONU 1973: dichiarando il cessate il fuoco e aprendo negoziati diretti solo ad ottenere in Libia elezioni libere, regolari e generali; e questo è quanto oggi può pretendere chi ha a cuore davvero la pace.
A quanti sono inclini ad approfondire, raccomando, se non l’hanno già fatto, di dare preliminarmente un’occhiata al precedente post del 17 marzo in questo blog. Dunque:

1) Un ordinamento internazionale equo, legittimo e condiviso, dovrebbe prevedere innanzitutto un organo pienamente rappresentativo del popolo del mondo e dei suoi governi, quale non è oggi l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Possiamo tranquillamente immaginare che quest’organo, una sorta di parlamento del mondo, debba avere poteri vincolanti limitati esclusivamente alla tutela della pace e della sicurezza generale: ossia ad impedire le guerre, civili o internazionali che siano. Quest’organo rappresentativo dovrebbe istituire con appropriati meccanismi un consiglio esecutivo incaricato di deliberare e dirigere gli eventuali interventi, armati e non armati, necessari per impedire le guerre. Tale consiglio avrebbe dunque quella legittimazione democratica e condivisa che l’attuale Consiglio di Sicurezza non ha. Gli eventuali interventi armati dovrebbero essere affidati, più o meno come prevede il mai applicato Capo VII del vigente Statuto dell’ONU, ad una forza internazionale, costituita dagli stati e posta sotto esclusivo comando delle Nazioni Unite. Non di singoli paesi, né di alcun’altra organizzazione internazionale come la Nato, priva dell’investitura democratica del popolo del mondo. Il consiglio esecutivo dovrebbe agire esclusivamente nei modi, nei limiti e nei termini definiti da una Carta inviolabile che ne circoscriva i poteri e lo sottoponga al sindacato di legittimità di un’autorità giurisdizionale indipendente e adeguatamente legittimata.
Tutto questo può apparire macchinoso, ma non lo è affatto: non è altro che l’applicazione all’ordinamento internazionale dei principi costituzionali che stanno a fondamento di tutti gli stati democratici. In altri termini, perché ci sia un ordinamento internazionale che sia legittimo, equo e condiviso è indispensabile una Costituzione del Mondo. Se non vogliamo un Moloch che faccia da Governo mondiale, magari nell’interesse dei più forti, questa Costituzione dovrebbe fra l’altro rispettare la sovranità degli stati: dunque non dovrebbe prevedere interventi armati negli affari interni, se non in caso di autentica guerra civile, mai per il caso che il governo di un dato paese non sia apprezzato da quelli di altri.

2) Questa Costituzione del Mondo oggi non c’è, poiché non è tale lo Statuto dell’ONU. Il quale, pur riproponendosi il nobilissimo fine di mettere fine a tutte le guerre, attribuisce poi il potere di decidere interventi militari ad un organo, il Consiglio di Sicurezza, che non solo è privo di qualsiasi legittimazione democratica, ma soprattutto è svincolato da qualsiasi controllo di legittimità. Anche quando, come è accaduto nel caso della Libia, esso deliberi in aperto contrasto con le disposizioni dello Statuto, quest’ultimo non prevede alcun rimedio. Il Consiglio di Sicurezza, se riesce a delibeare, è in pratica un sovrano assoluto.
E’ anche per questo che non è equo l’attuale ordinamento internazionale: perché consente che siano deliberati e attuati interventi come questo, che sono di fatto in contrasto sia con le norme vigenti che con i principi che le ispirano. Non si può ammettere che un intervento armato sia intrapreso e gestito da potenze che siano libere di perseguire, anziché l’interesse generale di impedire la guerra, il loro stesso interesse economico e politico. Il che è proprio quello che hanno apertamente dichiarato in queste ore gli Stati Uniti per bocca di Hillary Clinton e la Gran Bretagna per bocca di Cameron.
Non è questo ciò che prevede lo Statuto dell’Onu. Il quale, al Capo VII, prescrive appunto che gli interventi armati deliberati dal Consiglio di Sicurezza siano affidati a forze internazionali costituite dagli stati membri e sottoposte a comando ONU: ovviamente proprio per evitare che chi li conduce possa agire nei propri interessi. Dunque l’intervento in Libia, come quelli che lo hanno preceduto, è contrario alla lettera e allo spirito della Carta dell’ONU. In questo senso è radicalmente illegittimo.

3) Ma il caso della Libia è effettivamente diverso da quelli del Kossovo, dell’Iraq e dell’Afghanistan. In tutti e tre quei casi, gli Stati Uniti fecero di tutto per costruire le condizioni che giustificassero un intervento che essi reputavano apertamente essenziale per i propri interessi nazionali. Queste condizioni erano di fatto, in tutti e tre i casi, artificiosamente costruite. Non è così oggi in Libia.
In Libia, il 17 marzo, si è creata una situazione endogena di concreto e immediato pericolo per la vita di migliaia di persone, ad opera di un governo dotato della volontà e dei mezzi per mettere in atto un massacro. Agli occhi di chiunque non sia cieco, intervenire appare giusto e necessario, non solo per proteggere la popolazione civile, ma semplicemente per mettere fine all’uso delle armi.
Ma era questa a cui stiamo assistendo l’unica forma d’intervento possibile? Non discuterò nemmeno, in questa sede, le possibili forme alternative d’intervento non armato che si sarebbero potute perseguire. Ho già indicato in questo blog (nel post più sopra richiamato) quale forma d’intervento sognerei per un caso estremo come questo. Altre, meno poetiche, sarebbero state possibili.
Ma ammettiamo che nessun’altra soluzione fosse possibile al di fuori di un attacco armato. Cosa avrebbero potuto fare di meglio le potenze occidentali? Piuttosto che dare per scontato un intervento a comando americano, avrebbero potuto chiedere semplicemente l’applicazione dello Statuto dell’ONU. Ossia la costituzione di una forza internazionale sotto comando delle Nazioni Unite, a garanzia del fatto che non si perseguisse nient’altro che l’interesse generale di evitare una carneficina, un interesse dell’umanità in quanto tale. A questo scopo avrebbero potuto esigere, anziché temere, un coinvolgimento diretto nel comando strategico delle cinque potenze che si sono astenute: Cina, Russia, India, Brasile e Germania. Che sono, guarda caso, le potenze destinate a segnare l’immediato futuro del nostro pianeta. Forse così non si sarebbero astenute.
Ma di più. Invece di dare per certo che il popolo libico non voglia Gheddafi, invece di proclamare che il colonnello deve andarsene, arrogandosi il diritto di decidere il destino di quel popolo senza conoscere le sue intenzioni, avrebbero potuto riconoscere che c’è un solo modo di accertare la sua vera volontà: elezioni libere, regolari, generali. Laddove libere vuol dire che il partito di Gheddafi sia ammesso a parteciparvi, regolari che quel partito non sia in grado di condizionarle.
Se c’è qualcosa che il mondo può pretendere di imporre al signore della Libia, questa è che si tengano tali elezioni: libere, regolari, generali. E per far questo non è troppo tardi: si tratta di applicare il paragrafo 2 della risoluzione 1973, che parla di “intensificare gli sforzi per addivenire ad una soluzione della crisi che risponda alle legittime richieste del popolo libico” e di “facilitare il dialogo per approdare alle riforme politiche necessarie per trovare una soluzione pacifica e sostenibile”; nonché il  paragrafo 28, che sottolinea la disponibilità del Consiglio di Sicurezza “a rivedere in qualsiasi momento le misure imposte da questa risoluzione… anche… sospendendo o revocando tali misure, come risulterà appropriato a seconda dell’ottemperanza delle autorità libiche”.
Oggi, poco prima delle 20.00 ora italiana, il comando generale delle forze armate libiche ha dichiarato solennemente il cessate il fuoco; poche ore prima, la Lega Araba, investita di voce in capitolo dal paragrafo 5 della risoluzione ONU, aveva preso le distanze dalla violenza dell’intervento, mentre la Russia esprimeva profonda preoccupazione per le sue modalità. Piuttosto che rispondere, come ha fatto il generale Mullen, che si va avanti e basta, sarebbe già un’occasione d’oro per dichiarare una prima tregua. Cessare il fuoco e avviare un negoziato che non pretenda di imporre, come fu per il Kossovo e l’Iraq, una resa incondizionata del “nemico”, ma soltanto quello che esige la ragione: l’arresto di ogni violenza ed elezioni libere, regolari, generali. Visto che l’intervento c’è stato, che almeno sia questo il suo solo obiettivo.

4) Ecco dunque che cosa può chiedere, in queste giornate così fatidiche, chi ha a cuore davvero la pace.


2 commenti:

  1. Se la parte VII del trattato dello statuto dell'ONU prevede che gli eventuali interventi armati debbano essere affidati ad una forza internazionale sotto comando ONU non viene mai applicata, se è vero che il Consiglio di sicurezza può alla fine decidere come crede ed inoltre il potere di veto è ancora in mano alle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale , allora occorre dire a chiare lettere che , tuttora, l'ONU è soltanto una copertura alle grandi potenze ,bisogna essere chiari con la gente . Non solo.Il punto 1 della delibera 1973 parla di cessate il fuoco , al punto 2 di iniziativa diplomatica su incarico del segretario dell'ONU ma non si dice chiaramente che prima si dovevano rispettare questi due punti e soltanto dopo ricorrere all'intervento per la no fly zone . In questo modo la Francia , utilizzando il punto 4 , ha potuto attaccare la Libia senza dover rendere conto a nessuno .
    L'ONU è una copertura e per di più Francia e di seguito Inghilterra,USA e Italia agiscono al di là del mandato ONU.
    Perciò occorre chiedere fermamente al governo italiano di bloccare, come previsto dalla risoluzione, l'intervento militare e chiedere di aprire una trattativa ,chiudendo al momento l'utilizzo delle basi militari .non ci sono a mio avviso altre posizioni possibili se si vuole arrivare ad una soluzione politica della crisi libica .La posizione di Napolitano e della sinistra è da condannare e Berlusconi ha il dovere di prendere una posizione senza nascondersi dietro il presidente della repubblica.Disponibile ad ogni iniziativa, per il blog pennabiro.it cordiali saluti Iglis Restani

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  2. I popoli si autodeterminano.

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