Ore 23.34, 17 marzo – Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato in questo momento la risoluzione 1973/2011 con la quale autorizza l’intervento aereo in Libia. La piazza di Bengasi gremita dalla folla degli insorti è esplosa in un boato di esultanza.
Il testo integrale della risoluzione 1973 è pubblicato qui in italiano.
Clicca più tardi sul titolo del blog per trovarlo
Mentre l’incubo nucleare continua a covare a Fukushima, l’attenzione del mondo si è spostata improvvisamente sulla Libia, che sta vivendo uno dei momenti più drammatici dell’intera primavera araba.
Quattro ore fa, alle 19.40 ora italiana, Gheddafi ha pronunciato in televisione il discorso che potrebbe risultargli fatale. Ha annunciato che le sue forze stavano avanzando su Bengasi, che intendeva occuparla stanotte stessa, che gli insorti erano invitati ad arrendersi e che i suoi li avrebbero cercati “casa per casa”. Ha osato dire: “Per chi non si arrende non avremo pietà”. E’ questa frase, forse più di ogni altra, che ha fatto precipitare le cose.
Invece di disperdersi in preda alla paura, come forse sperava Gheddafi, gli insorti si sono ammassati nella piazza centrale di Bengasi urlando contro di lui e sventolando le loro bandiere. Per soggiogarli, a questo punto, ci vorrebbe un autentico massacro.
Alle 20.35 ora italiana, la Associated Press annunciava che gli avamposti delle forze governative erano a 130 chilometri dalle porte di Bengasi. Vuol dire che avevano superato lo scoglio di Ajdabiya e avevano via libera alla volta della città. Più o meno simultaneamente, il ministro degli Esteri francese Alain Juppé dichiarava che l’intervento aereo sarebbe potuto cominciare subito dopo l’eventuale risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza, prospettando in pratica un’azione diretta della Francia.
Adesso la risoluzione è approvata. Non si tratta di una no-fly zone. Il Consiglio di Sicurezza “autorizza gli stati membri… a prendere tutte le misure necessarie… a proteggere i civili e le aree popolate da civili sotto minaccia di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia, compresa Bengasi, escludendo l’ingresso di una forza di occupazione straniera in qualsiasi forma e in qualsiasi parte del territorio libico”.
Quello che si autorizza è, in pratica, una guerra aerea senza limiti.
E’ probabile che questo solo annuncio basterà ad arrestare l’immediata aggressione su Bengasi. Ma quali potranno essere le conseguenze, è difficile immaginare. C’è qualcosa di inquietante in questa decisione. Il realismo geopolitico dei grandi esce dalla sua paralisi, senza uscire dalle sue contraddizioni.
Già questo ci dovrebbe preoccupare: ma la cosa che trovo ancor più inquietante è che Stati Uniti e Gran Bretagna abbiano già dichiarato stasera che Gheddafi va rimosso dal potere. Hanno già deciso loro quale dev’essere il destino della Libia.
Ora, Gheddafi è certamente una figura truce, un violento, un fanatico pieno di sé che ha tutte le caratteristiche del despota.
Ma per quanto si riesce a capire, l’insurrezione libica non ha l’aspetto di una corale rivoluzione di popolo come quelle di Egitto e Tunisia. Somiglia più ad una guerra civile. Quando, quasi un mese fa, scrissi su questo blog che Gheddafi aveva le ore contate, non avevo percepito la differenza, che non sta solo nel fatto che, in Libia, Stati Uniti e Occidente non hanno alcuna presa sul regime.
E’ evidente che Gheddafi, almeno in Tripolitania, ha una certa misura di sostegno. Questo sostegno sarà in parte comprato con denaro contante, in parte carpito con una propaganda martellante, in parte scambiato contro prebende e privilegi, in parte destinato ad evaporare nel nulla non appena le sorti del despota sembreranno destinate a tramontare. Ma il fatto è che nessuno oggi è in grado di stabilire quale sia il sentimento che prevale davvero nell’insieme del popolo libico. L’unico modo per stabilirlo è quello che prescrive il principio democratico: elezioni libere, regolari e generali.
Se si proclama fin dall’inizio che Gheddafi va rimosso dal potere, c’è da temere che si intenda ripetere il triste spettacolo dell’Iraq e dell’Afghanistan. Dove si tennero elezioni da ridere, pilotate dalle forze di occupazione, impedendo la partecipazione di saddamisti e Taliban, che avevano probabilmente, in entrambi i casi, un consenso non lontano dal cinquanta per cento. Non è questa la democrazia che sognano gli arabi, non è questo che noi dobbiamo sognare. Non è un bel segnale che già in Tunisia sia stato dichiarato fuorilegge il partito che fu di Ben Ali.
In Libia sembra improbabile che Gheddafi possa sperare in alcunché di simile ad un consenso del cinquanta per cento, se si tenessero libere elezioni. Ma questa è solo un’altra ottima ragione per lasciare che siano i libici a decidere. Altrimenti, ancora una volta, non avrà vinto la democrazia, ma la forza: ovvero il suo esatto contrario.
Adesso sono le due di notte. Non c’è notizia di alcuna avanzata delle truppe di Gheddafi su Bengasi. Un’ora fa, un portavoce ha dichiarato che il governo libico intende “rispondere positivamente” alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Vedremo presto che cosa significa. Per adesso le piazze di Tobruk e Bengasi traboccano ancora di esultanza in un instancabile sventolio di bandiere. Fra le tante tutte uguali, verdi, rosse e nere, ce ne sono alcune che si distinguono: sono rosse, bianche e blu. Certamente chi le sventola ha in mente le parole di Juppé. Ma, chissà, forse ha in mente anche un’altra cosa, che speriamo Juppé non si dimentichi: che quella, prima ancora che il vessillo della Francia, fu la bandiera della libertà.
Sulla primavera araba vedi anche i post:
Intervento in Libia: paralisi realista e fantasie di un visionario
Un che di misterioso in Tunisia
e la serie
Rivoluzione in corso in quest'istante - 1, 2, 3
Intervento in Libia: paralisi realista e fantasie di un visionario
Un che di misterioso in Tunisia
e la serie
Rivoluzione in corso in quest'istante - 1, 2, 3
Nessun commento:
Posta un commento