Dopo il recente voto di fiducia, che ha sancito la posizione determinante del gruppo di Fini alla Camera, un prossimo ricorso alle urne appare ormai un'eventualità più che probabile. Il guaio è che non si vede con quale legge elettorale andare al voto.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che votare con la legge attuale non è fra le opzioni possibili. E questo per due ragioni pesanti come macigni. In primis, votare ancora una volta a liste bloccate sarebbe percepito dalla stragrande maggioranza degli italiani come un autentico sfregio alla democrazia, con tutte le conseguenze che questo comporta. In secondo luogo, cosa ancor più grave, la legge attuale ha la curiosa caratteristica, veramente esiziale in un sistema a bicameralismo perfetto, di non garantire la presenza della stessa maggioranza in entrambe le camere. Se per due volte la sorte ci ha salvati, e per un soffio, dalla calamità delle maggioranze divergenti, non è certo il caso di sfidarla un'altra volta.
Una nuova legge elettorale è indispensabile. Ma in un clima in cui ciascuna forza politica sembra incline a curasi esclusivamente del proprio immediato vantaggio, il compito di trovare una soluzione praticabile sembra a molti un'impresa chimerica. La cosa sorprendente è che, nel vespaio di discussioni e di ipotesi che la questione ha sollevato ("torniamo al mattarellum!", "sistema teutonico!", "uninominale purissima!", "aiuto! il pecorellum!") sembra che nessuno abbia pensato alla soluzione più semplice. Tutti deprecano più che giustamente il sistema del Senato, che del resto, una volta guadagnato il nomignolo che si ritrova, ha poche speranze di durare. Tutti deprecano più che giustamente le liste bloccate. Ma allora perché non estendere semplicemente al Senato il sistema della Camera, correggendolo col ritorno alle preferenze e basta?
Certo, non è un sistema perfetto. Personalmente, sono contrario, per esempio, alla soglia del 4 per cento, che rischia di privare di rappresentanza, come è accaduto alle ultime elezioni, anche un 10 per cento dell'elettorato. Ho già indicato dieci anni fa quale sistema elettorale ritengo preferibile per l'Italia: un doppio turno di sistema con elezione diretta dell'esecutivo al secondo turno. Poiché il mio pensiero ha una spontanea inclinazione a guardare alla lunga durata del futuro piuttosto che all'effimero presente, non ho trovato finora ragione di cambiare idea e rinvio il lettore interessato all'articolo della rivista "Testimonianze" (no. 410, marzo-aprile 2000) in cui argomentavo questa tesi.
Ma in attesa che passi la nottata che da anni ha investito la politica italiana e si possa tornare all'uso del buon senso, il sistema della Camera senza liste bloccate è una soluzione che ha i suoi pregi. Garantisce una maggioranza certa, produce un parlamento ragionevolmente rappresentativo, e può riscuotere il consenso di una vasta maggioranza, certamente fra gli elettori, ma forse anche fra le forze politiche, nessuna delle quali ne trarrebbe particolari svantaggi. Per di più non sarebbe un ennesimo cambiamento della legge elettorale, ma solo un aggiustamento ragionevole. Ed ha soprattutto un pregio raro: è molto semplice e molto chiaro.
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