Il governo più originale della storia
d'Italia entra adesso nel pieno delle sue funzioni, dopo la fiducia alla camera. Aspetteremo a giudicarlo dai fatti. Nel frattempo,
tuttavia, è opportuno tirare qualche conclusione sulla straordinaria
vicenda della sua formazione. Infatti, nonostante i fiumi
d'inchiostro versati sull'argomento, si direbbe che proprio la
lezione più importante da trarne sia sfuggita all'attenzione dei
più.
Come dobbiamo giudicare quel veto di
Mattarella su Savona che rischiò di spedirci dritto alle elezioni?
Che sia stato un grave errore politico, è ormai evidente a tutti. Ci
furono molte menti di sinistra, ben intenzionate e qualificate, che
plaudirono al baluardo eretto dal presidente contro i nuovi barbari.
Giuliano Cazzola dichiarò addirittura che Mattarella aveva fatto ciò
che avrebbe dovuto fare Vittorio Emanuele quando Facta gli propose lo
stato d'emergenza il giorno della marcia su Roma. Ora è pur vero che
la Lega di Salvini, a differenza dei Cinquestelle, presenta elementi
di non poco peso che la avvicinano ai nuovi fascismi. Ma non si
trattava della marcia su Roma. E, soprattutto, le ragioni addotte da
Mattarella per il suo gesto non avevano nulla a che fare con
un'eventuale deriva illiberale. Erano ragioni strettamente politiche:
e nel farle valere il presidente commise un grave errore di
valutazione, cadendo per di più nella trappola di un Salvini ben
contento di andare a fare cassa, forte dei suoi sondaggi esorbitanti.
Senza la fortunosa marcia indietro, le conseguenze potevano essere
agghiaccianti: spread alle stelle, governo senza fiducia precipitante
a capofitto verso elezioni a ferro e fuoco destinate a produrre la
stessa maggioranza, e ben più forte, con lo stesso conflitto con lo
stesso presidente... L'abbiamo scampata bella, per ora. Ma al di là
dell'opportunità politica, le momentanee conseguenze esplosive del
veto di Mattarella pongono una questione costituzionale che non si
può archiviare con leggerezza. Quel veto fu legittimo?
Eccellenti costituzionalisti si sono
esercitati ad identificare i casi in cui il presidente può
legittimamente opporre il veto alla nomina di un ministro: palese
indegnità, conflitti d'interesse, variopinti peccati capitali. Ma la
verità è che la costituzione non dice proprio nulla in proposito.
Dice solo che il capo dello stato nomina il capo del governo e, su
proposta di questo, i ministri. Ma se si rifiuta di nominarli? Stando
alla lettera della Costituzione, non c'è nulla che glielo possa
impedire. Stando al suo spirito, tutt'al contrario, quello che è
successo è una gravissima aberrazione costituzionale. Noi siamo una
democrazia parlamentare. Solo il parlamento, che è l'immediata
espressione del popolo, ha il potere di scegliere chi ci governerà .
Spingendosi a impedire la formazione di un governo che contava su una
solida maggioranza parlamentare, Mattarella ha violato i principi più
essenziali del nostro assetto costituzionale. Questo governo potrà
non piacerci perché è parafascista, o perché è cattivista, o
perché è troppo strano e originale, ma ha la maggioranza in
parlamento: e questa è la democrazia. Eppure, un uomo dall'animo
tutt'altro che autoritario come Mattarella ha potuto fare tutto
questo invocando i suoi poteri costituzionali.
Ebbene, qual è la lezione da trarne?
La lezione che se ne dovrebbe trarre è che il nostro dettato
costituzionale in materia di formazione del governo e di poteri del
presidente della repubblica è debole, ambiguo e potenzialmente
pericolosissimo. Non è un caso se un tipo come Di Maio ha potuto
proclamare un giorno che “i ministri li sceglie il presidente”, e
il giorno dopo che il presidente andava messo in stato d'accusa
perché pretendeva di scegliere i ministri. La figura del capo dello
stato disegnata dalla nostra carta è erede diretta di quella del
sovrano nello statuto albertino e nella prassi costituzionale della
monarchia. Da qui una quantità di aporie. Perché mai il governo
giura davanti al presidente, anziché davanti al parlamento, da cui
trae la sua legittimazione? E perché mai giura e assume i suoi
poteri prima del voto di
fiducia? Di più: perché mai un presidente dal ruolo talmente
“formale” che nessun atto da lui compiuto “è valido se non è
controfirmato dai ministri proponenti” (art. 89), dovrebbe avere il
potere di autorizzare la presentazione dei disegni di legge
governativi (art. 87, c. 4)? E se non li autorizza? Nulla è detto. E
che succede se si rifiuta di emanare i decreti con forza di legge
(art. 87, c5)? Non si sa.
Nel
silenzio della carta, i costituzionalisti si sono largamente
esercitati a qualificare e delimitare i poteri del presidente, a
distinguere quelli “formali” da quelli “sostanziali” e così
via: ma quanto è accaduto dimostra a chiare lettere che le
interpretazioni sono solo opinioni, che altre opinioni possono
smontare a piacimento.
Il
fatto è che un presidente che prendesse alla lettera i poteri che
gli sono attribuiti potrebbe paralizzare l'azione del governo
rifiutandosi di autorizzare i disegni di legge e di emanare i
decreti, oppure scegliere i ministri e il capo del governo che gli
aggradano, oppure addirittura, invocando la prassi, insediare a tempo
indeterminato esecutivi senza fiducia rifiutandosi di sciogliere le
camere, oppure ancora sciogliere le camere a suo piacimento senza
alcun vincolo di motivazione (art. 88). Insomma potrebbe diventare un
vero despota senza violare il dettato costituzionale. Intendiamoci:
nulla di tutto questo accadrà mai finché c'è un Mattarella al
Quirinale. Ma se ci fosse, che so, un Salvini? O un Berlusconi dei
bei tempi andati? A poco varrebbero le arcigne sentenze dei
costituzionalisti o le indignate mobilitazioni di piazza, se il
despota avesse il consenso che certi despoti sanno suscitare.
Corrono
tempi incerti e tempestosi. Quello che ieri sembrava impossibile,
domani può diventare realtà. Davanti a questi rischi, se mai si
formasse in parlamento una salda maggioranza veramente preoccupata di
salvaguardare la democrazia, piuttosto che i propri interessi di
breve periodo, quella maggioranza farebbe bene a ridefinire e
delimitare i poteri del presidente della repubblica nella
costituzione. E già che c'è, prima di tutto, farebbe bene a
rivedere l'articolo 138, imponendo i due terzi per qualsiasi modifica
costituzionale. Tira aria di repubblica presidenziale, in certi
ambienti. Ricordiamoci che Mussolini fu eletto, e Hitler pure.
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