Nel breve testo, Renzi dice alcune cose sensate. Innanzitutto ci rallegra che faccia a meno di aggregarsi al vecchio coro, ormai rauco e spiegazzato, dei confusi infelici che da trent’anni cercano di convincerci, contro ogni evidenza, che destra e sinistra non significano più niente. Renzi li ignora, e rende omaggio a Bobbio per averli sonoramente confutati. Subito dopo, peraltro, eccolo sollevare il dubbio che “la coppia eguaglianza/diseguaglianza non riesca a riassorbire integralmente la distinzione destra/sinistra”, mettendo così in discussione proprio la tesi centrale di quel volumetto Bobbio.
Il dubbio, espresso in questi termini, è sensato. Renzi fa
l’esempio dei movimenti xenofobi europei, “un magma impossibile da ridurre alla
vecchia contraddizione uguali/disuguali”. E’ un esempio più che appropriato. Il
tema dell’inclusione/esclusione è infatti uno degli elementi fondamentali che,
a mio parere, bisognerebbe aggiungere per completare, non per sostituire o
superare, l’analisi di Bobbio. La destra alza confini, identifica il “noi” in
una comunità, etnica, linguistica, religiosa o nazionale che sia, dotata di
precise frontiere, oltre la quale c’è il mondo degli “altri”, possibili amici,
perennemente potenziali nemici. E’ soprattutto per questo che l’America è
diventato oggi, a differenza che in passato, un paese di destra, perché il
segno e la forza di quel confine sono stati impressi in maniera profondissima
nell’animo del popolo americano.
Ma Renzi su questo non elabora. Dopo aver addotto il suo
esempio, evidentemente al solo scopo di alleggerire il peso del tema
dell’eguaglianza, se ne disinteressa. E passa a spiegarci che per lui la
distinzione destra/sinistra resta comunque essenziale. Perché? Perché,
naturalmente, è un convinto sostenitore del bipolarismo: e se ci vogliono due
poli, anzi “un modello bipartitico, all’americana”, ci vorrà pur qualcosa che
distingua i due partiti.
Ed è qui che Renzi si domanda: “Tiene ancora lo schema
basato sull’eguaglianza come stella polare a sinistra?” La domanda è retorica,
la risposta implicita è no. Ma non è che ci spieghi tanto bene perché. Parla di
una “società sempre più individualizzata”, si chiede come recuperare idee come
“merito” o “ambizione” e soprattutto come evitare che “la sinistra perda
contatto con gli ultimi”, facendosi scavalcare da un papa Francesco. Perché,
sì, ci spiega a questo punto con una piroetta lievemente cerchiobottista,
“l’uguaglianza – non l’egualitarismo – resta la frontiera per i democratici”. Ma
oggi è più utile interpretare l’opposizione destra/sinistra “nei termini
temporali di conservazione/innovazione”. La sinistra, secondo lui, deve
“innovare”, la destra invece “conserva”. Cioè proprio una delle tesi che
Bobbio, a suo tempo, aveva discusso e scartato.
E ben a ragione: perché se c’è qualcuno che negli ultimi
vent’anni ha fatto di tutto per “innovare”, questa è stata proprio la destra.
Fino a quando l’ordine costituito fu segnato da marcatissime disuguaglianze
economiche, sociali e culturali, innovare e cambiare significò scardinare
quelle disuguaglianze. Ma quando, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, in
Europa e in America, l’affermarsi del principio di uguaglianza cominciò a
minacciare i privilegi dei potenti, innovare e cambiare prese a significare
scardinare il Welfare State e le politiche sociali che quei privilegi mettevano
in questione. Sono circa trent’anni che la destra innova, ma in direzione
esattamente opposta a quella in cui innovava la sinistra.
Renzi non sembra accorgersene. Per lui l’alternativa che
conta è “movimento/stagnazione”. Dove “stagnazione” significa non rendersi
conto che oggi non esistono più “quei blocchi sociali definiti e compatti” che
la “sinistra socialdemocratica, cara a Bobbio” si era impegnata a scardinare
per dare a tutti cittadinanza. E qui Renzi ha ragione. Quei “blocchi sociali”,
s’intende, non sono altro che le classi in conflitto di marxiana memoria.
Quelle classi, in quei termini, non esistono più e la sinistra migliore non ha
certo aspettato Renzi per accorgersene.
E, per di più, Renzi avrebbe quasi ragione a sostenere che
proprio questo è il segno che la sinistra socialdemocratica ha vinto la sua
battaglia. Chi si ricorda bene e con dolore, come lo ricordava Bobbio proprio
alla fine di quel libretto, che cosa era la disuguaglianza appena pochi decenni
fa, non può che apprezzare di tutto cuore l’immenso cambiamento che c’è stato:
la dignità sociale e la speranza di riscatto di chi è nato povero oggi sono
tutt’altra cosa da quello che erano allora.
Avrebbe quasi
ragione. Perché la verità è che noi avevamo
vinto quella battaglia. L’avevamo vinta fino a quando, proprio contro quella
vittoria, non si è scatenata la poderosa reazione del neoliberismo, che, con la
preziosa collaborazione dei Clinton e dei Blair che Renzi tanto ammira, si è
dedicato a piene mani alla sua grandiosa attività di “innovazione”, tutta diretta
a smantellare i presupposti di quell’uguaglianza a cui Renzi presta il suo
formale omaggio.
Quella partita è vinta, dice lui. “Oggi ne stiamo giocando
un’altra”. Quale?
Poiché “quei blocchi sociali sono stati sostituiti da
dinamiche sociali irrequiete” e “i confini nazionali non delimitano più gli
spazi entro i quali le nuove dinamiche giocano la loro partita”, la sinistra
deve cambiare se stessa, sposare l’”innovazione”, pena la “condanna
all’incapacità di distinguere i nuovi ultimi e i nuovi esclusi e all’ignavia di
non mettersi subito al loro servizio”. Saper distinguere, insiste Renzi, “le
dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi” per dare loro
rappresentanza e costruire per tutti un paese migliore, è il compito del
Partito democratico. E questa, conclude, è la missione storica della sinistra.
L’operazione ideologica di Renzi, poiché di questo si
tratta, è sottile e piuttosto pericolosa. Per lui, l’uguaglianza non è più tema
centrale perché la battaglia in suo favore è stata vinta, le classi
ottocentesche sono state scardinate e siamo entrati in un nuovo mondo, in cui
la preoccupazione della sinistra dev’essere tutta per quella minoranza di
ultimi e di esclusi di cui tanto si preoccupa papa Francesco.
Il problema è che quella battaglia non è stata vinta
affatto. Oggi, nell’Occidente e nei paesi ricchi, ma particolarmente in Italia,
la frontiera della disuguaglianza non è quella che esclude quella minoranza di
ultimi, ma quella che investe la vasta maggioranza di persone che negli ultimi
due decenni hanno visto il loro reddito reale ristagnare e poi contrarsi, il
loro accesso ai servizi e ai beni che un tempo si dicevano “pubblici” farsi
sempre più oneroso e incerto, il loro benessere complessivo sempre più
minacciato, mentre la ristretta minoranza dei più ricchi concentrava nelle
proprie mani una porzione continuamente crescente sia del reddito che del
patrimonio. Pochi ricchi si sono enormemente arricchiti, tutti gli altri si
sono impoveriti. E questo non è successo né per caso, né per un qualche oscuro
meccanismo connaturato alle mostruosità del capitalismo che solo chissà quale
catarsi rivoluzionaria potrebbe in un futuro scardinare, come continua a
credere certa sinistra. E’ successo per effetto di un vasto, intelligentissimo
disegno messo in opera dai potenti della terra che si è materializzato in tutto
il mondo nelle vesti della controriforma neoliberista.
La battaglia per l’uguaglianza, proprio nei termini in cui
la vedeva Bobbio, è oggi più che mai all’ordine del giorno. Essa non riguarda
semplicemente quella minoranza di “ultimi ed esclusi”, ma la vasta maggioranza
che si è vista ricacciare nell’insicurezza e nel rischio di ricadere nel
bisogno. La posizione di Renzi in questo scritto somiglia tanto a quella
descritta da Carlo Galli in un recente libro che tratta proprio lo stesso tema
del pamphlet di Bobbio (Perché ancora
destra e sinistra, Laterza, 2013): “Ciò che conta è che la linea guida
della politica non sia più l’uguaglianza garantita dallo Stato […]. Al più, si
accede all’idea che sia cosa buona e edificante, ove possibile, lenire col
balsamo della compassione la dura legge delle disuguaglianze.” Solo che Galli
non descriveva qui la missione della sinistra, ma, tutt’al contrario, le
posizioni della destra.
Nel discorso di Renzi, in sintesi, la lezione di Bobbio non
è affatto viva, è morta e sepolta.
La situazione, oggi ancor più che vent’anni fa, è proprio il
contrario di ciò che dipinge Renzi. Come pensava Bobbio, la bandiera dell’innovazione non è né di
destra né di sinistra, può esser messa al servizio di entrambe.Mentre davanti ad una destra planetaria che costruisce un
potere sempre più potente e penetrante, sempre più capace di condizionare e
controllare i corpi e le menti dei nuovi sudditi dell’era globale, sempre più abile
a regolare i flussi del denaro, del sapere e dell’informazione nell’interesse
di chi comanda, le parole della sinistra non hanno bisogno di “innovazione”. Devono
sì lasciarsi alle spalle gli errori del passato, quelli che aprirono la strada
al culto dell’odio, del conflitto, della violenza e della sopraffazione. Ma devono
restare, o tornare ad essere, quelle semplici, limpide e potenti di
oltre duecento anni fa, quelle che ispirarono il sogno più grande che l’umanità
abbia mai coltivato, un sogno che non è ancora realizzato: uguaglianza,
fratellanza e libertà.
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