Ha messo sotto accusa le facce e le maniere della vecchia
politica, mentre allo stesso tempo metteva in atto il più tipico traccheggio da
politica vecchia, dicendo una cosa e pensando l’opposto, affettando
disinteresse per promuovere se stesso, travestendo pretesti da proposte, ostentando
devozione alle sorti del paese per curarsi soprattutto delle proprie.
Ha giurato fedeltà al bipolarismo, alla faccia dell’Italia
tripolare, promettendo solennemente che mai al governo col centro-destra, e
adesso fa il governo con l’appoggio determinante di una cosa che si chiama e si
proclama niente meno che il nuovo centro-destra.
Ha levato alta nel vento la bandiera dell’investitura
popolare, ha imposto al primo punto dell’agenda la riforma della legge
elettorale, poi, quando ha capito che le elezioni poteva ben perderle grazie a
se stesso e alla sua barbara idea di far risorgere Berlusconi allo scopo di far
tremare Letta, ha lasciato perdere l’investitura e si è autonominato presidente
del consiglio, solennemente investito da una frazione di una frazione dell’elettorato.
Nessuno gridi al golpe, per carità. Siamo ancora, per
fortuna, una repubblica parlamentare. Se questo governo avrà la maggioranza in
parlamento, sarà perfettamente legittimo e perfettamente legittimato a
governare. Purtroppo, con la maggioranza che ha e con lo spirito di patate che
lo anima, non vedo molte ragioni di sperare che possa fare qualcosa di meglio
di quel che, senza Renzi fra i piedi, avrebbe fatto il grigio Enrico Letta.
Di certo i primi cento minuti non promettono bene. Mentre
tutti si affannano sul totoministri e sul totoprogramma, solo quel buontempone
di Giannelli ha saputo dire qualcosa di serio. Come dicono a Palermo, lo ha
pittato:
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