giovedì 29 agosto 2013

Armi chimiche in Siria: la certezza e l’amarezza

 Si sta per lanciare un intervento militare contro la Siria perché Assad avrebbe usato le armi chimiche. La decisione è grave, e potrebbe avere conseguenze gravissime.
Sul piano geopolitico, causerà certamente un inasprimento delle relazioni con la Cina e la Russia, che potrebbero scivolare su una china molto pericolosa. Sul terreno siriano, rafforzerà certamente la posizione militare dei ribelli, con risultati che nessuno può prevedere. Sul piano umano, causerà la morte di molte persone, nessuna delle quali, con ogni verosimiglianza, responsabile della decisione di usare quelle armi.
Ci si aspetterebbe che un atto così grave sia almeno fondato sulla assoluta certezza dei suoi presupposti, cioè delle responsabilità di Assad. Ma questa certezza non esiste affatto. Esistono soltanto dichiarazioni del governo americano e dei suoi immancabili comprimari inglesi e francesi. A fronte delle quali la Russia sostiene di avere le prove che la responsabilità sia dei ribelli, gli osservatori Onu inviati sul posto hanno visto inspiegabilmente limitare il loro mandato all’accertamento dell’uso di armi chimiche senza investigarne la responsabilità, mentre il governo americano ha sdegnosamente rifiutato la richiesta avanzata da Assad e dallo stesso Ban Ki Moon di prolungare quel mandato per consentire un più pieno accertamento dei fatti.
Stando agli elementi disponibili finora, insomma, ci sarebbero tutte le ragioni per restare nel dubbio. Specie in considerazione dei precedenti in analoghe occasioni. La guerra del Kossovo, per esempio, che è stata addirittura invocata a modello in questi giorni. Pochi ricordano che quell’intervento, compiuto senza mandato Onu in flagrante violazione del diritto internazionale, fu scatenato e giustificato dal cosiddetto “massacro di Racak” del 15 gennaio 1999, un “crimine efferato” del quale allora si sventolarono “prove inconfutabili” assai più dettagliate di quelle in discussione oggi, e che poi si rivelò una colossale bufala costruita ad arte per ottenere l’intervento. I risultati di alcuni scontri coi ribelli armati furono gabellati per una strage a sangue freddo di civili. Pochi ricordano che al sito di quel “massacro” ebbero accesso giornalisti, deputazioni di osservatori internazionali, commissioni mediche di paesi terzi, e ciononostante la verità fu meticolosamente stravolta e occultata dalle manipolazioni e venne a galla soltanto anni dopo la fine della guerra. Per non parlare delle “informazioni di intelligence” sulle armi chimiche di Saddam Hussein. O di quelle sulla fabbrica farmaceutica di al-Shifa in Sudan, che fu bombardata nel 1998 come fabbrica di armi chimiche e si rivelò poi del tutto innocua. Con simili precedenti, il “rapporto di intelligence” che dimostri le colpe di Assad annunciato a breve termine dall’amministrazione americana dovrebbe essere accolto col massimo scetticismo. Tanto più che, a differenza del caso di Racak, le circostanze di questo massacro sono tali da far temere che prove certe non ce ne saranno mai.
In assenza di queste certezze, pertanto, sarebbe d’obbligo osservare che i ribelli avrebbero tutto l’interesse ad utilizzare le armi chimiche in loro possesso, pur di poterne attribuire l’uso ad Assad. Che queste armi ci siano, lo possiamo ritenere fuori di dubbio, dato che lo ha certificato Carla Dal Ponte, persona certamente insospettabile sia di inclinazioni antiamericane, che di simpatia per le dittature. Che sia fortissima per i ribelli la tentazione di usarle per ottenere un intervento internazionale a loro favore, è evidente.
Dall’altra parte, è altrettanto evidente che non avrebbe proprio alcun interesse ad usarle il regime di Assad. Perché mai avrebbe dovuto fare proprio l’unica cosa che è stata ampiamente indicata come la “linea rossa” da non superare, pena l’intervento occidentale? E proprio alla periferia della capitale? E proprio mentre erano presenti da appena tre giorni gli osservatori Onu invitati dallo stesso regime per indagare su precedenti episodi di uso di armi chimiche? Per ottenere quale vantaggio? Se Assad lo avesse fatto sarebbe davvero un atto di colossale ottusità.
Ora, è vero: questo non vuol dire che lo si possa escludere. Questo tipo di regimi si sono sempre distinti appunto per le tante prove di colossale ottusità. L’ottusità con cui Saddam perseguitò gli sciiti dopo la prima guerra del Golfo, l’ottusità con cui Assad reagì a suo tempo alle prime manifestazioni popolari, l’incredibile stupidità del discorso di Gheddafi il 17 marzo 2011, che provocò la risoluzione Onu sull’intervento in Libia.
Se una simile prova di ottusità non è pertanto impossibile, non è tuttavia certamente la cosa più verosimile in questo caso. L’elemento che più fa propendere per una simile improbabile ipotesi è quello che tutti hanno indicato: il fatto che Assad non abbia consentito l’accesso immediato al teatro dei fatti agli ispettori Onu già presenti. Ma anche questo, a ben guardare, potrebbe non essere altro che una manifestazione di quell’ottusità tipica dell’autocrate che pretende di avere il controllo su tutto ed è sempre riluttante a consentire che altri metta il naso in casa sua senza freni.
Checché se ne dica, l’incertezza rimane.
E rimane l’amarezza di constatare quanto siano stati devastati in questi ultimi anni nei rapporti internazioni i principi fondamentali del diritto. A tal punto che pochi si accorgono di quanto sia in conflitto con tutti i canoni della civiltà giuridica occidentale che un giudice autonominatosi, gli Stati Uniti d’America, decida una sanzione di una simile gravità, l’intervento armato, sull’onda della reazione emotiva ad un evento opaco, senza minimamente curarsi di garantire una procedura di accertamento dei fatti nemmeno vagamente paragonabile a quella che si applicherebbe a qualunque ladruncolo in qualsiasi tribunale del mondo.
L’unica consolazione, per il momento, è la posizione, molto netta e tutt’altro che scontata, presa dal nostro ministro degli Esteri Emma Bonino, che ha dichiarato che senza una (impossibile) risoluzione del Consiglio di sicurezza, l’Italia non collaborerà all’intervento e non autorizzerà l’uso delle basi.
Le pressioni americane perché questa posizione sia riveduta saranno certamente molto forti: auguriamoci che ad esse non si ceda.



2 commenti:

  1. Caro Alberto,
    francamente mi pare assolutamente evidente che l'intervento in Siria è stato pianificato già in epoca pre 9/11, nel disegno alla base di tutta la politica estera americana dei falchi del New American Century. Il vero problema attuale per gli Usa è che nel frattempo è emerso prepotentemente il ruolo antagonista della Cina, che all'epoca si muoveva in sordina.
    Riguardo alla Bonino, francamente, ho ben poche speranze da riporre su di lei. Temo che l'autunno ci vedrà complici di questa guerra, sempre che la Cina e la Russia non riescano a far comprendere agli euro-americani che è meglio che se ne stiano buonini (e se è vera la notizia che l'egitto ha chiuso il transito del canale di Suez alle navi da guerra usa.. significa che gli equilibri geopolitici dell'aerea sono decisamente cambiati a loro sfavore). Intanto si continua a costruire nella base militare di Niscemi, e tutte le basi militari nato saranno a disposizione totale, come sempre dei comandi militari Usa.
    Maria Paola

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  2. Condivido, sia i ragionevoli dubbi sulle prove cosi ansiosamente cercate dagli Usa, sia il timore sugli effetti che potra` avere un conflitto nell`area e una rottura fra le potenze mondiali. Alfine giustamente noti che si cancella nuovamente il diritto internazionale, a partire dal ripudio della guerra fissato da St. Onu, cost. Italiana, ecc., relegandolo al rango di principio astratto privo di potere cogente.
    Un attore di la` da venire, l` Unione Europea, potrebbe introdurre qualche novita`, ma oltre all soggetto e alla norma serve la volonta` politica e per ora non si vedono che inganni.

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