Questo blog, a suo tempo, giudicò “terrificante” la prospettiva avanzata da Rosy Bindi di un governo di coalizione come quello attuale. Quando nacque, parlò di “cattiva stella” e di un operazione non intelligente.
Si vedano i post del 6 novembre e del 15 novembre 2011: c’era da temere soprattutto il condizionamento di Berlusconi sulla maggioranza, le riforme costituzionali che si minacciavano, il potere di ricatto del despota fallito. Per fortuna le cose sono andate molto meglio di quanto si potesse sperare: data la certezza della sua sconfitta ad eventuali elezioni, quel potere di ricatto è evaporato, le temibili riforme costituzionali sono svanite nel nulla, gli attacchi legislativi alla giustizia pure, e i danni causati da Berlusconi e dai suoi compari si sono limitati ad alcuni vistosi peggioramenti alla manovra finanziaria, tutti a favore dei privilegiati.
Che giudizio dare del governo Monti? Sui contenuti della sua manovra c’è naturalmente molto da ridire. La distribuzione dei sacrifici è stata tutt’altro che equa e le ristrettezza in cui tante famiglie si ritrovano a causa di provvedimenti altamente discutibili si sarebbero in parte potute evitare. Ma questo si può imputare solo in parte alla volontà dell’esecutivo, in parte maggiore al ruolo della destra in parlamento. Sulla qualità della manovra, peraltro, almeno un punto merita encomio, ossia la rinuncia ad alcune delle deprecabilissime misure previste dalla delega in materia assistenziale voluta a suo tempo da Berlusconi.
Poco si può eccepire, invece, sulla necessità di una manovra di questa portata sul piano quantitativo. Non perché essa fosse intrinsecamente inevitabile, ma perché l’attuale assetto dei mercati finanziari, che è tutt’altro che necessario, la rendeva assolutamente inevitabile. Poiché è la finanza che comanda ai governi, Monti, sul piano quantitativo, non aveva altra scelta.
Anzi, bisogna riconoscergli un grandissimo merito, che non gli è stato finora riconosciuto adeguatamente. E che è un suo merito del tutto personale: quello di aver dichiarato chiuso fin dal dicembre scorso il capitolo delle misure di austerità, costringendo l’Europa intera a spostare l’attenzione dapprima sulla crescita e poi, a partire dalla scorsa primavera, sul punto centrale, l’arma fatale in mano ai mercati, ossia il livello dei tassi sul debito e dello spread sui Bund tedeschi, aprendo la strada alla decisiva “conversione” di Mario Draghi ai primi d’agosto. Pochi si rendono conto di quanto sia stata audace e sofisticatamente accorta questa operazione di Mario Monti, alla quale dobbiamo, in buona sostanza, la provvisoria salvezza dell’Italia. Pochi si rendono conto che pochi altri al mondo avrebbero potuto condurre in porto con successo una simile inversione di rotta. Le logiche e le leve su cui si muovono i mercati finanziari sono in larga parte occulte e difficilmente decifrabili ai più. Ben pochi politici italiani sono in grado di padroneggiarle. Ci voleva un personaggio come Monti, che fa parte di quei pochi (qualche centinaio di persone in tutto il mondo) che le conoscono fino in fondo dall’interno ai più alti livelli, per riuscire a vincere una simile difficilissima partita.
Ora il guaio è che la partita non è chiusa. La guerra contro l’Italia del partito di Jens Weidmann, e degli americani che lo appoggiano, è tutt’altro che conclusa e non lo sarà di qui alle elezioni di aprile. Dunque levare di mezzo Monti sarebbe una mossa avventatissima, che rischierebbe di scatenare ipso facto un gigantesco attacco speculativo contro l’Italia. Lui, naturalmente, lo sa bene, ed è proprio per questo che ha dichiarato la sua disponibilità proprio a New York, e proprio al Council on Foreign Relations.
E’ per questo che, fatti i conti, è probabile che a Monti segua Monti. Perché chi comanda in Italia non è il popolo italiano, ma la mano di ferro dei mercati.
Naturalmente questo non ci piace. Preferiremmo tutt’altro governo. Ma finché dura la dittatura del capitale finanziario, il massimo che possiamo sperare è che il prossimo governo, di Monti o con Monti che sia, abbia un’altra maggioranza, che gli consenta di somigliare più ad un Hollande che ad un Blair o a una Thatcher. Questo non è impossibile, anche se certamente non è facile. Ma dato che abbiamo già assistito ad un mezzo miracolo, non possiamo escludere che ne arrivi un altro mezzo.
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