E’ stato martedì scorso, al culmine della campagna elettorale per quelle elezioni amministrative il cui esito si attende in queste ore con un po’ di fiato sospeso, che Berlusconi annunciava il proposito di modificare la Costituzione anche in materia di poteri del capo dello stato, naturalmente per ridurli a favore del capo del governo. Venerdì 13, alla vigilia del voto, Ernesto Galli della Loggia interveniva sull’argomento con un fondo sul Corriere della Sera. Curiosamente, senza fare alcun riferimento all’annuncio dell’amato cavaliere.
La sua argomentazione è tutta sintetizzata nella titolazione: “La supplenza necessaria – Quirinale, metamorfosi di un ruolo”.
Galli della Loggia esordisce rilevando un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: dal ’92 in poi nessun altro potere dello stato ha subito modifiche sostanziali così profonde come quello del capo dello stato. Dal ruolo tipicamente notarile esercitato nella cosiddetta “prima repubblica”, il Quirinale si è oggi trasformato nel “dominus effettivo della scena politica italiana”. Difficile negarlo.
Due spiegazioni propone della Loggia. La prima è l’indeterminatezza dei poteri che la Costituzione attribuisce alla presidenza della Repubblica. La seconda è il vuoto causato dal “progressivo indebolimento degli antichi partiti e del loro sistema”, sostituito da “un bipolarismo approssimativo e senza regole, causa di continui scontri muro contro muro”, con “coalizioni mutevoli”, “una classe politica incolta e in molta parte inesperta”, eccetera eccetera. Da qui la “necessaria” supplenza della presidenza della repubblica.
Quest’ultima argomentazione è del tutto fuorviante. Dall’ingresso in politica di Silvio Berlusconi non si è determinato proprio nessun vuoto. Al contrario, il panorama politico si è riempito di un fuoco di fila di iniziative dirette da una parte a realizzare politiche altamente controverse con piglio fortemente conflittuale, dall’altra a stravolgere progressivamente, passo dopo passo, l’assetto costituzionale dello stato, muovendo in direzione di una nuova forma di governo che conferisca all’esecutivo una concentrazione di poteri senza uguali nei sistemi democratici.
Quello che ha spinto la presidenza della repubblica ad utilizzare in modo sempre più invasivo e sostanziale quei poteri che in precedenza erano stati interpretati in termini essenzialmente formali, non è stata una sorta di spontanea deriva del sistema politico verso il vuoto e la confusione, ma la natura stessa del disegno politico di Silvio Berlusconi: che lo porta ad adottare continuamente provvedimenti al limite della costituzionalità e a forzare il sistema delle regole nella direzione autoritaria ed autocratica che quel disegno lucidamente si prefigge.
Se fino ad oggi, almeno in questo suo ultimo mandato, Berlusconi aveva evitato di mettere apertamente in discussione i poteri del presidente della repubblica, se aveva mostrato verso quell’alta carica una peculiare deferenza così poco consona al suo carattere, ciò si può spiegare in un solo modo: col suo proposito, tutt’altro che occulto, di utilizzare in un prossimo futuro quei poteri a proprio favore, assumendo egli stesso l’alta carica.
Per questo non è molto avveduto il comportamento di quanti dall’opposizione continuamente premono su Napolitano perché utilizzi nel modo più invasivo i suoi poteri costituzionali: poiché così facendo si costruisce un apparato di precedenti che rischia di consentire ad un eventuale successore malintenzionato di utilizzare quei poteri in modo fortemente autoritario.
Purtroppo, da quando è in giro Berlusconi, il rischio è tutt’altro che ipotetico.
E qui veniamo alla seconda “causa” che, secondo Galli della Loggia, spiegherebbe l’interventismo presidenziale: l’indeterminatezza dei poteri costituzionali del capo dello stato.
Premettiamo che questa non è certo una “causa” del fenomeno, dato che è esistita per oltre trent’anni senza in alcun modo determinarlo. E’ tuttavia certamente un suo presupposto necessario.
Il fatto è che i costituenti delinearono le prerogative del presidente della repubblica in modo terribilmente approssimativo, come se dessero per scontato che nessun presidente avrebbe mai abusato dei suoi poteri e non ci fosse dunque bisogno di specificarli e delimitarli. “King can do no wrong”, il re non può far male: è noto che il ruolo del presidente fu modellato su quello del re, da cui ha ereditato, insieme alla residenza, molte funzioni, il supremo prestigio, l’irresponsabilità e la nebulosità dei limiti ai poteri.
Il risultato è che la configurazione costituzionale di quei poteri è tale da consentire a chi li esercita, se volesse abusarne, un autentico stravolgimento dell’ordinamento democratico. Un presidente della repubblica che concepisca il proprio ruolo come capo de facto dell’esecutivo e veicolo del suo indirizzo politico, piuttosto che come arbitro super partes della dialettica democratica, è tutt’altro che incompatibile con la lettera, sebbene non certo con lo spirito, della nostra Costituzione.
Ha ragione Galli della Loggia ad osservare che i soli poteri di autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge, di emanazione dei decreti e di promulgazione delle leggi possono, se esercitati in modo sostanziale anziché formale, condizionare ferreamente l’attività normativa del governo. Anzi, si può aggiungere, dello stesso parlamento.
Così come ha ragione a ricordare il potere incondizionato di sciogliere le camere, limitato solo dal parere non vincolante dei loro presidenti, un potere che si presta ad essere usato, sondaggi alla mano, per garantirsi una maggioranza amica. Per non parlare della presidenza del CSM e del Consiglio Supremo di Difesa, della ratifica dei trattati o della nomina dei funzionari dello stato. Un presidente che volesse comandare, anziché supervisionare, avrebbe tutti i mezzi per farlo.
Che questo non sia conforme allo spirito e al dettato della Costituzione è evidente. Basta pensare all’ art. 90, che sancisce l’“irresponsabilità” del presidente o alla categorica disposizione dell’art. 89 (“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità”), che tante discussioni ha suscitato fra i giuristi, ma che intende chiaramente attribuire al governo la determinazione dell’indirizzo politico.
Ma il dispositivo costituzionale che concretamente definisce i poteri presidenziali è talmente vago e indeterminato, da prestarsi ad un esercizio che muova in direzione esattamente opposta. Su questo ha ragione Galli della Loggia.
Ha invece assolutamente torto quando dà per scontato che questi poteri siano “necessariamente indeterminati, suscettibili cioè, per loro natura” (corsivo mio) di interpretazioni opposte. Non c’è proprio nessuna ragione per cui la Costituzione non debba chiarire, ad esempio, in quali condizioni il presidente sia legittimato a sciogliere le camere. O non debba sanare l’evidente contraddizione fra il carattere solamente sospensivo del veto alle leggi e quello definitivo e insindacabile dell’eventuale veto ai decreti e ai disegni di legge. Queste sono semplicemente lacune che meriterebbero di essere colmate.
Ha dunque ragione Silvio Berlusconi quando si ripropone di delimitare e circoscrivere i poteri presidenziali? Peccato che si sia deciso a parlarne solo ora, quando si è evidentemente reso conto che la sua candidatura alla carica non è ormai in alcun modo proponibile. Dopo il suo comportamento negli ultimi mesi, la pretesa di presentarsi come figura super partes è diventata radicalmente inattendibile: ed è chiaro che l’amato cavaliere ha deciso di riformulare il suo disegno di potere, tornando a puntare sulla presidenza del consiglio.
Nella logica del berlusconismo, che mira a concentrare tutto il potere in un’unica mano, la figura del presidente della repubblica è del tutto superflua. La deferenza ultimamente ostentata nei confronti della carica è del tutto strumentale. La Costituzione conferisce potenzialmente alla presidenza un complesso di poteri formidabili: se si riesce a conquistarla, si presta a diventare lo strumento più potente per stravolgere l’assetto costituzionale. Ma se si corre il rischio di non averla sotto pieno controllo, allora è molto meglio togliere di mezzo l’ostacolo.
L’uscita di Berlusconi sui poteri del presidente è dunque perfettamente in linea con il suo disegno politico di edificazione di un’autocrazia post-moderna, fondata sul controllo dei media e l’onnipotenza dell’esecutivo. Tanto è vero che si è accompagnata alla riaffermazione dell’intento di riformare anche la corte costituzionale, ovviamente nel senso di renderla più allineata al governo.
Ci sarebbe materia di riflessione per quanti continuano a ripetere che l’unico obiettivo di Berlusconi in politica è salvare se stesso e i suoi interessi: il rapporto fra gl’interessi personali di Berlusconi e i suoi progetti di revisione costituzionale è quanto meno incerto. A farsi ossessionare soltanto dai primi, ci si lascia sfuggire l’essenza stessa del berlusconismo che, purtroppo, non è cosa che si esaurisca in Berlusconi. E ancor più c’è materia per quelli che insistono ad accusarlo di non essere in grado di governare, di non provvedere ai famosi “problemi degli italiani”, come se il più grosso problema degli italiani non fosse la minaccia di cadere definivamente sotto questo potere estremista, autoritario, incondizionato e irremovibile, che è l’obiettivo del berlusconismo.
In conclusione, che fare dunque dei poteri presidenziali? L’ultima cosa da fare è negoziare la loro revisione con Berlusconi stesso o i suoi seguaci. E’ di ieri l’esternazione di Cicchitto che dichiara modificabile anche la prima parte della Costituzione. Non potrebbe essere più evidente che l’obiettivo di questi signori è sovvertire radicalmente il nostro ordinamento costituzionale. Con questa estrema destra affamata di onnipotenza, non si deve scendere ad alcuna trattativa su alcuna parte della Costituzione. L’unico obiettivo dev’essere rimuoverla dal potere. Per poi procedere a renderla definitivamente inoffensiva.
A quest’ultimo scopo, sarà sicuramente opportuno modificare parecchie parti della Costituzione. Ma in senso esattamente opposto a quello che vuole Berlusconi. Per esempio costituzionalizzando una nuova normativa sui media, e l’emittenza televisiva in particolare, che ne garantisca il pluralismo e l’indipendenza dall’esecutivo con non minor rigore di quello applicato, per nostra fortuna, dalle costituzioni novecentesche alla tutela dell’indipendenza della magistratura. In altre parole, adottando tutte le misure necessarie per impedire il risorgere del berlusconismo, con la stessa determinazione con cui i costituenti ci protessero un tempo contro la potenziale risorgenza del fascismo. Si tratta semplicemente d’impedire il potenziale abuso del potere, sia da parte del governo, che del presidente della repubblica, che di chiunque altro. Nulla di più, ma nulla di mano, che rendere più saldi e inattacabili quei principi democratici, antifascisti e repubblicani che ispirarono i padri costituenti e che tanto spiacciono al berlusconismo.
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