mercoledì 27 aprile 2011

L’Italia bombarda la Libia, il diritto e la democrazia.

Adesso l’Italia è in guerra fino in fondo. Proprio quando l’intervento internazionale in Libia sta assumendo connotati quanto mai discutibili e pericolosi, il governo Berlusconi si decide a bombardare. Il presidente Napolitano avalla la decisione e l’opposizione si limita a invocare il rispetto della risoluzione ONU. E’ una posizione saggia?
Se guardiamo la risoluzione 1973 non tanto dal punto di vista della sua legittimità formale, sulla quale gravano peraltro molti dubbi, ma semplicemente dal punto di vista di quei principi di giustizia e legalità che quotidianamente pretendiamo di applicare all’interno di qualsiasi paese civile, non possiamo che vedervi un’autentica mostruosità giuridica e morale.
Se esistesse un ordinamento internazionale basato su quei principi di legalità, esso non affiderebbe mai simili interventi all’iniziativa di singoli stati o gruppi di stati che rischiano di anteporre i propri obiettivi politici, strategici o economici all’unico interesse generale in nome del quale tali interventi andrebbero deliberati: quello di salvare vite umane ed assicurare la pace nel mondo. Un ordinamento internazionale basato su quei principi non permetterebbe mai che singoli stati o gruppi di stati pretendano di comportarsi da padroni nelle regioni in cui sono intervenuti, in quanto vincitori di una guerra. Al contrario, sottoporrebbe simili interventi ad un ferreo sistema di regole diretto ad impedire qualsiasi abuso da parte di chi usa la forza, predisponendo un rigoroso sistema di controlli capace di sanzionare quegli abusi.
Cosa fa invece la risoluzione 1973? Attribuisce a qualsiasi stato membro dell’Onu il potere di intervenire militarmente, senza alcun termine di tempo, con l’unico limite dell’esclusione “di una forza di occupazione” e con un obiettivo, quello di “proteggere i civili e le aree a popolazione civile”, talmente vago e indeterminato da prestarsi alle interpretazioni più sfrenate. E se gli stati che intervengono uccidono civili? Se distruggono edifici e proprietà che nulla hanno a che vedere con gli obiettivi della risoluzione? Se causano danni fisici e materiali a cittadini innocenti? Chi sanzionerà quei delitti, colposi o dolosi che siano? Chi risarcirà quei danni? Chi giudica se le vittime sono innocenti o colpevoli? E in base a quali regole e quali criteri? Se un poliziotto uccide per sbaglio un solo essere umano, viene condannato in tribunale. Ma se per caso una bomba uccide per sbaglio un migliaio di innocenti, come accadde a Baghdad con la strage di el Ameriya, chi l’ha gettata se la può cavare senza nemmeno abbassarsi a porgere scuse.
Un atto che apre la strada a simili abusi non è degno della civiltà giuridica occidentale, è una manifestazione di barbarie.
E in base a questa manifestazione di barbarie, il presidente Napolitano e l’opposizione democratica pretendono di legittimare l’entrata in guerra dell’Italia.
Ma quel che è peggio è che lo fanno fingendo di ignorare che l’intervento franco-anglo-americano ha già violato flagrantemente gli stessi vaghissimi limiti della risoluzione 1973.
Violando l’embrago sulle armi, che ne proibiva qualsiasi transito da e per la Libia, le forze navali che si sono autoincaricate di applicarlo hanno lasciato passare i carichi di armi diretti da Bengasi a Misurata, mentre altre armi transitavano liberamente, insieme a “consiglieri militari”, attraverso la frontiera egiziana. Nonostante la sua vaghezza e ambiguità, la risoluzione indicava chiaramente l’obiettivo di far tacere le armi a aprire i negoziati. Invece le forze alleate si sono schierate a favore di una delle parti, senza nemmeno avere alcun mezzo per stabilire da che parte stia la maggioranza dei libici. Ignorando gli appelli alla ragione che si levavano dall’Africa, dall’America Latina, dall’India, dalla Russia e dalla Cina (vedi post del 15 aprile), si sono date l’obiettivo di liquidare Gheddafi, che la risoluzione non autorizza in alcun modo. E in nome di quell’obiettivo bombardano la residenza di un capo di stato in flagrante violazione del diritto internazionale e della stessa risoluzione che pretendono di applicare.
E l’Italia deve partecipare a questo scempio? Ci obbligano i nostri impegni internazionali, è stato detto. Nulla di più falso. Lasciamo pure da parte il famoso articolo 11. Ma la prima cosa cui ci obbligano i nostri impegni internazionali è quanto richiama l’articolo 10 della Costituzione: il rispetto delle “norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”. E il fondamento di tutte le norme di diritto internazionale è quella che dice: pacta sunt servanda, vanno rispettati i trattati. E noi abbiamo un trattato di amicizia con la Libia che ci proibisce categoricamente non solo di muoverle guerra, ma anche di autorizzare l’uso del nostro territorio per muoverle guerra. Questo confligge con la risoluzione ONU, che ci obbligherebbe a “fornire assistenza”? Niente affatto. Si esamini, per favore, il testo. Mentre gli altri paragrafi diretti agli stati cominciano con “delibera” o “richiede”, col paragrafo 9 il Consiglio di Sicurezza “invita” (calls on) gli stati membri a fornire assistenza. E’ chiaro che la differenza non è casuale, e si può intuire che ne sia responsabile la Germania.
In sintesi: non solo nulla ci obbligava ad autorizzare l’uso del nostro territorio, né tanto meno a partecipare all’intervento, ma i fondamenti stessi del diritto internazionale ce lo proibivano. L’Italia sarebbe stata nella posizione di impedire materialmente questa guerra e di costringere l’intera comunità internazionale ad altre forme d’intervento, miranti davvero ad ottenere il silenzio delle armi e l’unico risultato veramente legittimo e democratico: elezioni libere, regolari, generali. A maggior ragione dovrebbe farlo adesso che l’intervento è diventato così palesemente illegittimo e prepotente.
In un senso non tanto metaforico, questa guerra è stata una guerra contro l’Italia. Tentare ora di volgerla a nostro favore prendendo parte diretta ai suoi soprusi non è detto che sia un’idea geniale, anche solo dal punto di vista dei nostri “interessi nazionali”. La partita, purtroppo è ancora aperta.
Non sappiamo chi vincerà, anche se è improbabile che vinca Gheddafi. Sappiamo però chi perderà. La Libia è un paese diviso. Dopo questa aggressione militare, non sarà il suo popolo a scegliere liberamente il proprio governo. Chiunque andrà al potere, sarà un fantoccio degli occidentali. A perdere è la causa della pace, della giustizia e della democrazia.

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