domenica 30 gennaio 2011

Rivoluzione in corso in quest'istante

There's a battle outside and t's raging
I'll soon shake your windows an' rattle your walls
Bob Dylan

In quest'istante c'è Piazza Tahrir, al Cairo, affollata da migliaia di persone che sfidano il coprifuoco nel cuore della capitale d'Egitto. Poco fa, aerei da guerra sfrecciavano sopra la piazza a bassissima quota, assordando le corrispondenze televisive, mentre al-Jaazirah denunciava il tentativo di metterla a tacere, frenetiche manovre si intrecciavano tra governo e vertici militari, e el-Baradei parlava alla folla con un megafono. Non è una rivolta, non è una ribellione. Questa è un'autentica rivoluzione. Di più: è una rivoluzione democratica.
E' molto improbabile che il regime di Mubarak possa reggere. Soprattutto sarebbe catastrofico, perché causerebbe un'ondata di indignazione e di furore in tutto il mondo islamico, cosa che farebbe assai più danno di quel che qualcuno teme dalla caduta di Mubarak. Possiamo solo augurarci che ci sia risparmiata una simile calamità. Che la dignità, l'autenticità, la maturità che questo movimento sta mostrando prevalgano sulla violenza dei facinorosi e del potere.
Dobbiamo sperare che il rais se ne vada senza ulteriori spargimenti di sangue. Ma la posta in gioco è troppo alta per dare per scontata la capitolazione del regime.
L'Egitto non è un paese qualunque: è il pilastro portante di quella costellazione di false democrazie e tirannidi varie che sono state per decenni i fantocci dell'Occidente e degli americani in Medio Oriente e in Africa del Nord.
Ciò che cade inevitabilmente sotto accusa non è semplicemente il regime egiziano, ma l'intera politica occidentale verso questa regione, che ha sostenuto a spada tratta queste tirannidi, facendoci credere che se non c'è democrazia nel mondo arabo è perché i musulmani non ne sono capaci, che questi regimi erano l'unico mezzo per assicurare la "stabilità" della regione, che l'unica alternativa possibile fossero altre tirannidi ancora peggiori, cioè ostili all'Occidente.
E' dell'altro ieri la dichiarazione di Frattini, che si diceva fiducioso che Mubarak continuerà a governare "con saggezza", come ha sempre fatto. Con saggezza? Incarcerando centinaia di oppositori alla vigilia di tutte le elezioni? Sopprimendo il dissenso, perseguitando gli avversari anche più ragionevoli, imbavagliando l'informazione e i media?
Lucio Caracciolo è stato più onesto ieri sera. Ha detto: "La regola è che se un dittatore è amico, va aiutato e sostenuto".
Ecco, se c'è qualcosa che si può sperare oggi, è che la battaglia che infuria in queste ore seppellisca per sempre queste "regole".

3 commenti:

  1. Temo che la richiesta di democrazia non sarà soddisfatta in ogni caso.
    Questi sommovimenti di popolo mi ricordano le rivoluzioni arancioni e verdi, organizzate dalla cia. Solo che ora il grande manovratore esterno ho l'impressione che sia la Cina.
    La RPC ha ormai preso silenziosamente, ma massivamente, piede in tutta l'africa (e converrebbe riflettere anche sul nuovo assetto che si è creato in america latina). In particolare, irguardo al nord africa, sta insinuando la sua presenza - a livello sia di interventi infrastrutturali, che di relazioni commerciali e di "aiuti" - tale che la cosa dovrebbe far riflettere sulle implicazioni, a livello geopolitico, che può avere la caduta di determinati regimi filo-israelo statunitensi in quell'area. Soprattutto il ruolo dell'Egitto mi pare da non sottovalutare in tal senso.
    Il metodo usato mi pare simile a quello delle rivoluzioni "colorate".. tant'è che la prima cosa che ha fatto il regime di Mubarack è stata proprio di censurare completamente internet in tutto il paese.
    Spero vivamente di sbagliarmi e che, invece, il popolo egiziano riesca a ottenere un governo democratico frutto di libere elezioni.
    Un caro saluto
    Maria Paola

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  2. Io invece tendo a condividere l'entusiasmo di Alberto, sotto molti aspetti. Mi pare che tra Tunisia ed Egitto da un lato e Iran dall'altro ci siano grandi differenze in fatto di movimenti per il cambiamento e che sia proprio questo il punto più interessante e significativo. Non ho la preparazione geopolitica sufficiente per valutare il ruolo della Cina in nordafrica, ma anche solo il fatto che ci sia un antagonista globale all'armata cia-nato-finanza USA e UE non mi sembra una cattiva notizia. In ogni caso, non credo che di "blocco cinese" o di aree di influenza si possa ancora parlare, al di fuori forse della regione estremo-orientale e centrasiatica. Possiamo invece notare che di Iran si parla da dieci anni quotidianamente, che le pressioni internazionali sono evidentemente fortissime, che i romanzi, i film, le installazioni su veli e compagnia bella non si contano e arrivano a stomacare (almeno il sottoscritto) nella loro banalità, ripetitività e non troppo sottile atteggiamento Kiplinghiano. Con tutto questo, la "rivoluzione verde" è durata pochi giorni e non ha lasciato segni, per mancanza assoluta di massa critica, e lo scrive uno che ha studiato all'università di Tehran. Che in Tunisia ci fosse un regime, invece, credo fossimo in ben pochi a saperlo prima del mese scorso. Idem per l'Egitto. Che scendano in piazza (senza scegliere un colore e soprattutto non guidati da un membro dell'establishment come in Persia) centinaia di migliaia di persone contro i regimi "buoni" del mediterraneo sud mi sembra straordinario. Sì, anch'io sono convinto - e spero - che queste siano rivoluzioni vere. Ciò di cui l'Occidente e l'America hanno paura non è l'islamismo, suvvia, lo sappiamo tutti, basta con il teatro degli orrori, altrimenti non si capisce come l'Arabia Saudita sia un grande amico. Sappiamo invece tutti che a far paura, perché mette in discussione il sistema para-coloniale con cui il mondo arabo è stato finora assoggettato, è l'indipendenza vera (per quanto relativa in un sistema imperiale), insomma l'autonomia democratica (vedi l'Algeria degli anni 90). Soprattutto, Alberto correggimi, mi pare che la paura sia quella di dover riconoscere arabi e musulmani come individui in grado di scegliere per il (proprio) bene, in altre parole di dover in qualche modo mettere in discussione la percezione di loro come untermenschen attraverso la quale il mondo "democratico" giustifica la propria violenta tutela auto-attribuita dei fratellini minori e incapaci d'Asia e d'Africa.
    Un saluto e un abbraccio
    Stefano

    p.s. ci sentiamo presto!

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  3. Da Paolo Lombardi:
    Quest'analisi sull'Egitto, per vecchie e inconfessate passioni geopolitiche, mi ha interessato molto. E devo dire che è perfetta. Trattasi di rivoluzione, ancora non si è capito se a metà o se interamente compiuta. C'è però un tema che non è stato ancora sollevato, neanche nei commenti (al di là dei riferimenti ai movimenti ucraini e georgiani che, confesso, non ho capito): il figlio e successore in pectore di Mubarak ha fatto di tutto, negli ultimi anni, per accreditarsi quale alfiere di una rigorosa politica neo-liberista, contro la quale si è levato un movimento operaio piuttosto agguerrito. Degli scioperi degli operai tessili, molto vivaci, si è a lungo occupato Le Monde Diplomatique. Mi pare insomma che la rivoluzione egiziana sia anche il frutto di una tenace lotta anti-liberista che ha catalizzato energie contro Mubarak e il suo successore designato. Secondo me, nella rivoluzione egiziana, c'è anche un elemento anti-liberista che va capito e analizzato con attenzione.

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