domenica 30 gennaio 2011

Se lo faranno, Berlusconi è perduto - un'analisi della transizione italiana

Mentre infuria la seconda ondata del caso Ruby e le elezioni tornano ad affacciarsi al prossimo orizzonte, è ora finalmente di adempiere alla promessa dell’ultimo post e ricapitolare l’argomentazione fin qui svolta sulla natura del berlusconismo e le indicazioni che possiamo derivare da questa analisi in merito alle scelte che si prospettano all’opposizione. Siamo ad un crocevia senza ritorno e c'è da scegliere la strada giusta.
Ho sostenuto (nei post del 17 e 24 ottobre) che Berlusconi coltiva un progetto neo-autoritario di concentrazione del potere, che non è compatibile con la democrazia in quanto tale. Ritengo che abbia coltivato questo progetto fin da quando è asceso in politica, anzi da ancor prima di allora.
Il contenuto di questo disegno è sintetizzabile in poche parole (vedi post dell’8 gennaio): assoggettare al controllo del governo tutti i centri di potere, istituzionali ed extra-istituzionali, che siano in grado di limitare la potestà d’imperio dell’esecutivo, potere giudiziario e potere mediatico in primo luogo.
Ho argomentato che la parabola del berlusconismo non è il frutto occasionale di una vicenda personale vissuta ai limiti della legalità, ma di un disegno strategico ispirato ad una precisa concezione del potere e dotato di una precisa linea politica.
Questa linea politica non è di centro, ma profondamente di destra (v. post 24.11). E’ di destra non tanto per le scelte in campo economico o nelle altre sfere dell’attività politica corrente, che, considerato l’attuale quadro internazionale, rientrano per lo più nella norma dei governi conservatori. E’ di destra, anzi di estrema destra, per il suo orientamento in campo istituzionale, indirizzato verso l’autoritarismo e l’autocrazia in modi che non hanno uguali in Occidente e nelle democrazie in generale. Su questo piano il berlusconismo non è una peculiare forma di conservatorismo, ma una nuova forma di estremismo (post 18.12). Una estrema destra post-industriale che non ostenta il volto maschio e implacabile delle autocrazie del primo Novecento, ma quello seducente e un po’ femmineo della fascinazione televisiva.
Se la propaganda fascista era tutta orientata verso il versante maschile della mente, coltivava la violenza e misurava il suo successo dalla capacità di arruolare uomini, quella berlusconiana privilegia piuttosto il versante femminile, pretende di condannare la violenza e conta fra i suoi imperativi quello di sedurre le donne (già…), che nel frattempo sono diventate elettrici.
D’altro canto, se la propaganda fascista proclamava apertamente le sue finalità antidemocratiche, quella berlusconiana è maestra nel nasconderle e fonda la sua fascinazione sull’inganno.
L’inganno è essenziale alla meccanica del berlusconismo. Il berlusconismo deve fingersi liberale, poiché si fonda sulla captazione televisiva del consenso elettorale, che altrimenti sarebbe impossibile. Così si fa passare per difesa dei diritti del cittadino una campagna contro le intercettazioni che è in realtà tutta tesa a difendere il potere dalla legge. Si fa passare per libertà di manifestazione del pensiero un controllo monopolistico sull’emittenza televisiva privata che è in realtà una grave minaccia al diritto all’informazione. Si semina a piene mani l’odio contro il nemico, i “comunisti”, i “giustizialisti”, i “magistrati” (è di qualche giorno fa l’apparizione televisiva di una insospettabile signora di mezza età che dichiarava concitata: “I magistrati? Fosse per me li eliminerei tutti!”) e ci si proclama, colmo dell’ironia, il “partito dell’amore”. E così via.
A prima vista, si direbbe che quest’inganno abbia avuto un successo straordinario e imprevedibile. E’ riuscito a convincere la stessa opposizione (almeno in larga parte) che Berlusconi è davvero un “moderato”, che il PDL è davvero una forza “liberale”, che questo estremismo è un normale “centro-destra” o perfino che Berlusconi non ha alcun progetto politico ed è dedito solo a coltivare i suoi interessi personali. Questo è certamente un risultato formidabile.
Ma da un altro punto di vista, quest’inganno è fallito miseramente, perché non ha raggiunto, a tutt’oggi, i suoi obiettivi. In sedici anni di battaglie, il berlusconismo non è riuscito ad imbrigliare la magistratura, non è riuscito a imbavagliare l’informazione, non è riuscito a neutralizzare la corte costituzionale. Soprattutto non è riuscito a conquistare il consenso della maggioranza degli italiani (post 18.11). Se è vero che in Italia non c’è un “regime”, non è perché Berlusconi non ci abbia provato: è perché, nonostante tutto, non ci è riuscito.
Se c’è un enigma da sciogliere, questo non è “perché gli italiani sostengono Berlusconi”. Gli italiani, in maggioranza, non lo sostengono (sorprendentemente, lo ha riconosciuto lui stesso nel videomessaggio del 28 gennaio, quando ha detto che la sua coalizione ha “più del 45%” nei sondaggi). Considerata la potenza e l’astuzia dei mass media messi in campo, il consenso di quella grossa minoranza che si è fatta affascinare dal berlusconismo non necessita di ulteriori spiegazioni. Se c’è un prodigio da spiegare, questo è l’esatto contrario: che nonostante tutto, il tentativo di costruzione di questo regime non sia ancora, a tutt’oggi, andato in porto, cioè non sia ancora riuscito a costruire quelle condizioni di irremovibilità del potere che ha così tenacemente perseguito.
Io credo che questo fallimento vada attribuito soprattutto a due fattori, uno di ordine giuridico-formale, l’altro di ordine culturale: la robustezza delle garanzie costituzionali e il sentimento democratico del paese, radicato nelle pagine migliori delle tradizioni socialista, cattolica e liberale. La prima ha bloccato la strada agli interventi più eversivi, il secondo ha impedito ai più di riconoscersi nel nuovo Uomo della Provvidenza. Non si può invece attribuire il merito di questo fallimento alle strategie di risposta delle opposizioni, che si sono dimostrate debolissime.
Ciò che ha paralizzato l’opposizione è stato soprattutto un fondamentale errore di analisi, compiuto fin dall’inizio della parabola berlusconiana e poi tenacemente ripetuto fino ad oggi. Questo errore è stato il rifiuto di riconoscere la natura autocratica del progetto politico berlusconiano e dunque la sua intrinseca avversità alla democrazia, il suo connaturato estremismo. Nonostante la sua evidente discendenza dalla P2, nonostante gli allarmi lanciati da movimenti, da intellettuali, da gruppi di cittadini preoccupati, nonostante gli innumerevoli ammonimenti provenuti dal resto del mondo, si è fatto di tutto per accreditare Berlusconi come un normale avversario di centro-destra, da battere sul terreno delle scelte politiche concrete, delle pratiche capacità di governo, guardandosi in tutti i modi dal peccato mortale dell’ “antiberlusconismo”.
Invece di mettere sotto accusa l’intero disegno politico-istituzionale berlusconiano, si è preferito strizzare l’occhio al rafforzamento dell’esecutivo, contrattare revisioni costituzionali, negoziare riforme della giustizia, accettare l’idea che la “governabilità” vada privilegiata sulla rappresentatività, senza accorgersi che si accreditava un valore che è al suo massimo nella dittatura.
Ma c’è di più: anche quando, come nel caso di Di Pietro e di Travaglio, si è scelta almeno la strada della contrapposizione frontale, si è preferito ignorare l’esistenza di un disegno politico e si è messo in primo piano il personaggio, i suoi atti di illegalità, la sua attenzione ai propri interessi, i suoi impresentabili vizi privati, la sua presunta incapacità di governare.
Naturalmente non intendo dire che gli atti di illegalità vadano ignorati. Naturalmente vanno denunciati e perseguiti in tutti i modi. Ma non sono l’aspetto essenziale. Non vanno scambiati per la causa dell’agire politico di Berlusconi, come fa Travaglio, perché ne sono semmai la conseguenza, forse nemmeno indispensabile. Se l’uomo avesse perseguito i suoi propositi senza commettere nemmeno un reato, non sarebbe stato meno pericoloso: lo sarebbe stato ancora di più.
Quanto alla presunta incapacità di governare, questo è l’argomento più debole di tutti. Se andiamo a guardare le “cose concrete”, la politica economica, la finanza pubblica, la politica estera, e perfino la politica dell’istruzione, la differenza fra gli orientamenti della maggioranza e quelli dell’opposizione (nettissima su altri piani) tende a sfumare nella nebbia. Mi riservo di discutere in futuro (magari prima di Natale…) la politica economico-finanziaria e la politica estera del governo che ancora siede in carica: mi limito per il momento ad anticipare che entrambe, a mio parere, hanno visto, accanto a molti aspetti deleteri, diverse scelte positive, anche in materie importanti (cf. post 6.11). Non è su questo terreno che si può battere facilmente Berlusconi. 
Ma veniamo all’immediata attualità. Se oggi Berlusconi rischia di cadere, non è per la sua collezione di misfatti pregressi, né per la sua incapacità di governare, ma per i suoi impresentabili vizi privati. Proprio il lato più insignificante della sua vicenda, rispetto alla portata storica del dramma strisciante che viviamo da oltre sedici anni. Ho già detto che il caso è ironico, ma anche emblematico (post 2.11). Quello che qui m’interessa è la via d’uscita.
E in questo momento le vie d’uscita possibili sono tre.
Non si può escludere che Berlusconi riesca anche questa volta a superare la crisi e a mantenersi in sella, uscendone magari ulteriormente fortificato. In questo caso, lo ha già fatto sapere, si getterebbe con rinnovata foga nel suo programma di legislazione eversiva: intercettazioni, processo breve, separazione delle carriere… In una parola, nella costruzione del regime. Ma non è l’ipotesi più probabile. Abbandonato dalla gerarchia cattolica, sbeffeggiato dal mondo intero, bastonato dalla corte costituzionale, perseguito dalla legge, bersagliato dall’indignazione benpensante, stampellato in parlamento soltanto da due o tre campioni di scilipotaggine, scaricato perfino dal TG2, l’amato cavaliere ha poche probabilità di passare questo guado senza drammi.
La seconda ipotesi è il governo di transizione che conduca il paese alle elezioni. Tremonti? Alfano? Letta? Sarebbe una via pericolosa e piena di incognite. Vedrebbe al potere il berlusconismo senza Berlusconi, con i grandi generali del sultano impegnati in un duello all’ultimo sangue con Bossi, Casini, Fini, Bersani e quant’altri, per negoziare una legge elettorale precostituita a favore di chiunque riesca a uscire vincitore da una partita opaca e imprevedibile, che rischierebbe di mettere in soffitta qualsiasi anelito di autentica sovranità popolare. Può accadere che una contrattazione fra forze bilanciate produca un risultato migliore delle intenzioni di ciascuna: fu il caso della Costituzione repubblicana. Difficilmente sarebbe il caso in questo frangente.
L’ipotesi che sembra più probabile, al momento attuale, è che si vada ad elezioni anticipate con questa stessa legge elettorale. Questo era, fino a poco tempo fa, l’asso nella manica di Silvio Berlusconi. Oggi non più. Prima ha constatato che scricchiolava il Senato. Poi ha capito che scricchiola anche la Camera. Più precisamente: Berlusconi può sperare di conquistare la Camera solo se i suoi avversari si presentano divisi, perché solo così potrebbe acciuffare quel premio di maggioranza che ancora una volta trasformerebbe la sua minoranza elettorale in una maggioranza parlamentare.
Una volta tanto, c’è chi lo ha capito. Bersani. Il quale ha dichiarato a chiare lettere che intende perseguire l’alleanza di tutte le opposizioni.
E’ un’impresa impossibile? Vendola ha detto: “Con Fini mai”. Casini ha detto: “Con Vendola mai”.
Hanno ragione. Hanno ragione se si parla di costruire “una proposta di governo serio”, una coalizione di largo respiro che debba decidere e trovare il consenso su cose che vanno dall’Afghanistan all’eutanasia, dalla contrattazione dei metalmeccanici ai fondi alla scuola privata, dal nucleare e alle imposte comunali, in altri termini, un governo di ordinaria amministrazione. E’ inutile far finta che sia possibile trovare un consenso di questo genere che vada, non dico da Fini a Ferraro, ma nemmeno da Casini a Rosy Bindi.
Ma qui non si tratta di proporre un governo di ordinaria amministrazione. Si tratta di gestire la transizione definitiva ad un’altra fase della storia repubblicana, una fase che sia liberata dall’incubo di questo estremismo.
Ciò su cui devono trovare l’accordo le forze di opposizione è il percorso di fuoruscita dal berlusconismo e di ritorno alle normali strade della democrazia. Tante cose si potrebbero dire su ciò che questo percorso può comportare. Per esempio una nuova legge elettorale equa e accettabile a tutti. Per esempio che sia consentito il regolare e ordinato svolgimento dei processi a carico del premier. Per esempio, che si metta sul tavolo la questione dei media, sia per quanto riguarda il monopolio privato quanto il controllo sull’emittenza pubblica. Per esempio, che sia blindata ferreamente l’indipendenza della magistratura. In altre parole, tutto ciò che serve a garantire le condizioni della democrazia: supremazia della legge, pluralismo politico, separazione dei poteri, regolarità del processo elettorale e della formazione del consenso politico. Naturalmente ci sono altre  scelte improcrastinabili da compiere, per esempio la linea da tenere nei confronti dei mercati finanziari e degli attacchi, perennemente in agguato, contro il debito sovrano dell’Italia. Ma anche sulle questioni improcrastinabili è più che possibile trovare un accordo.
Quello che conta è che il consenso che occorre, in questo momento, per formare l’alleanza che seppellisca Berlusconi non deve e non può vertere sull’ indirizzo politico, ma su qualcosa di più alto e condivisibile: l’indirizzo costituzionale, le fondamenta del gioco democratico. Si tratta di ricostituire le condizioni per una normale dialettica democratica: e questo, per fortuna, è possibile in breve volgere di tempo, purché ci sia chiarezza e concordia sugli obiettivi. Dopodiché una destra e una sinistra normali e ad armi pari potranno tornare a confrontarsi sul terreno delle scelte di governo.
La reazione rabbiosa e scomposta con cui Berlusconi ha affrontato la tempesta del caso Ruby apre la strada ad un scontro frontale. Se finora poteva essere comprensibile attenersi ad una  circospetta moderazione, adesso è il comportamento stesso dell’uomo che sta facendo cadere la maschera, rivelando la sua fisionomia di puro autocrate. E’ questa che oggi va messa sotto accusa.
Berlusconi non deve andarsene perché è un puttaniere, non deve andarsene perché “non ha voglia di governare”, non deve andarsene perché è incapace di farlo. Deve andarsene perché ha tentato di costruire un regime, ha tentato di collocare se stesso e il suo potere al di sopra di qualsiasi legge e di qualsiasi regola, perfino di qualsiasi decenza. Questa è la constatazione che può e deve unire, oggi, tutte le donne e gli uomini liberi di questo paese.
Lo “spirito da CNL” che invocava giorni fa Barbara Spinelli è tutt’altro che impossibile da suscitare. Basta che i leader dell’opposizione si decidano a farlo. Se lo faranno, Berlusconi è perduto.

Post scriptum. Proprio quando questo post era quasi pronto per uscire, ho trovato in edicola l’ultimo numero di Micromega, intitolato “Berlusconismo e fascismo”. Il saggio introduttivo di Paolo Flores D’Arcais ricalca con impressionante aderenza le argomentazioni sviluppate in questo blog, nelle 10 tesi LabDem del 2003 e nella prima sezione di questo post. Tornerò su questo saggio e sul volume prossimamente. Magari prima di Pasqua…
Post post scriptum. Vale la pena di confrontare la seconda sezione di questo post con l'intervista di D'Alema a pag. 11 de La Repubblica di oggi, che ho letto solo dopo la pubblicazione del post.

5 commenti:

  1. Da Pau Rizzo:
    L'incubo non è finito, temo sia solo all'inizio

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  2. Da Angelo Baracca:
    Le tue considerazioni sono come sempre acute e interessanti, anche se mi sento meno ottimista di te sullo stato e le prospettive di questo paese. Da un lato mi riferisco ad esempio al rapporto del CENSIS, che sicuramente conosci, e che mi sembra rispecchiare il degrado umano e sociale del paese. E in questo quadro temo che il berlusconismo abbia fatto guai in profondità difficili da risolvere e superare nel breve periodo. Naturalmente spero di sbagliare. Ma anche sugli obiettivo che proponi per un governo di coalizione (scusami il termine generico) non vedo sinceramente nelle forze politiche una tale chiarezza di obiettivi. Dici che Bersani l'ha capito: ma se non riesce a tenere insieme nemmeno il suo partito! Insomma, non la vedo molto chiara. Scusami se non mi dilungo di più, un abbraccio.

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  3. Caro Angelo,
    Sono d'accordo che il berlusconismo abbia fatto guai in profondità, anche perché si è sposato col neoliberismo, che si era sposato anche con l'altra parte. In un certo senso è vero che, come era scritto nelle Dieci Tesi e come dice Flores d'Arcais, il berlusconismo non è un totalitarismo. Ma in un altro senso invece lo è: c'è tutta una concezione della vita che si è radicata in molti ambienti. Ma quello che sostengo è che questa non è mai stata, in realtà, maggioritaria. E' stata, semmai, egemone. Ma non essendo diventata nemmeno lontanamente plebiscitaria, come fu col fascismo e col nazismo, non potrà prevalere a lungo. Donde il mio sostanziale ottimismo.
    Quanto a Bersani, non ho detto che abbia capito tutto, sarebbe un miracolo. Dico che ha capito che ci vuole questa coalizione, non che abbia capito come farla. Ma mi sembra che proprio in queste ore ci si stia avvicinando alla strada giusta. D'Alema, con l'intervista del 30 gennaio, si sarebbe messo sulla buona via, se avesse fatto a meno di condire il discorso con la peregrinissima proposta del referendum sul presidenzialismo e altre spezie mal assortite. E poi non so se hai visto la proposta di La Valle e Ferraioli, tutt'altra pasta d'uomini, che si muovono sullo stesso percorso, anche se con qualche condimento scricchiolante pure loro. Se ci aggiungi le risposte di Fini e di Casini, vedi che si è aperta una partita, in cui gli obiettivi diventano sempre più chiari.
    Non è detto che questa coalizione debba essere un governo, anzi. Dev'essere una coalizione elettorale. Fra forze dichiaratamente eterogenee, che non intendono governare insieme, ma ridefinire insieme le regole del gioco. Naturalmente anche questo non è facile. Ma non è impossibile, o almeno così, a mio parere, bisogna sperare.
    Bah, intanto vediamo se cade Mubarak, che sarebbe tanto bello.

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  4. Da Paolo Lombardi:
    Per quanto riguarda l'analisi del berlusconismo quale nuova forma di estremismo di estrema destra, io non ho riserve. Sembra un piccolo saggio; io te ne consiglierei la pubblicazione, magari proprio su Micromega. Sono invece meno ottimista per quanto riguarda la comparsa di un eventuale spirito costituente tra i partiti di opposizione. Di questo spirito, che dovrebbe permettere il ritorno alle "normali strade della democrazia", io trovo deboli tracce. A parte ciò che dice Bersani (ma di solito il giorno dopo dice una cosa contraria), mi pare che sopravvaluti la forza morale delle attuali dirigenze di partito. Per dirne una: quante volte l'IdV, che pure sarebbe seguace di una linea di contrapposizione frontale con Berlusconi, ha votato con il PdL in questo parlamento (ad esempio sul federalismo)? Quante volte Veltroni ha tuonato contro un qualsiasi straccio d'accordo con l'odiata sinistra? Non lo so quanta voglia ci sia di contrattare una "soluzione repubblicana". Mi sa che non ce ne sia molta. in fondo, il fatto che Berlusconi cada sulle marchette di Ruby e non sulle mozioni parlamentari di sfiducia, dimostra proprio che il potere si scioglie là dove sono i suoi punti deboli: ossia, non sulla volontà dei democratici (veri o presunti) decisa a contrastare le pulsioni antidemocratiche del berlusconismo, ma sulla impossibilità di quest'ultimo di contrastare le propri pulsioni sessuali. Non è il progetto politico del re il suo punto debole, ma il corpo del re. Il che la dice tutta sullo stato attuale dell'opposizione italiana. Ma forse sono eccessivamente pessimista. Mi auguro di esserlo. se riesci a convincermi del contrario, non mi fai un dispiacere

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  5. "...il berlusconismo non è una peculiare forma di conservatorismo, ma una nuova forma di estremismo (post 18.12). Una estrema destra post-industriale che non ostenta il volto maschio e implacabile delle autocrazie del primo Novecento, ma quello seducente e un po’ femmineo della fascinazione televisiva."
    ESATTO:
    1) un'estrema destra mimetica, seducente attraverso corpi, più che facce, non certo menti. Il volto della tv non sarebbe 'un po' femmineo' se fosse usata per dare spazio a menti femminili, invece che a corpi.
    2)un'estrema destra mimetica, contro la quale un cacerolazo senza idee dietro non serve a nulla.
    Dovrebbe essere accompagnato da idee, proposte e unità della sinistra, che non si vedono.
    Bersani l'avrà anche capito, ma è unutile attribuire a un solo leader il compito di 'tenere insieme' una sinistra sparpagliata: è il modello che, col maggioritario, non funziona più.
    Allora:
    - o si cambia il maggioritario e i vari gruppi di sinistra contano quello che contavano prima
    - o i gruppi di sinistra decidono di abbandonare l’‘individualismo idealistico’, cioè non si aggrappano alle ‘sfumature’ che li differenziano tra loro, e rifanno un partito unico abbastanza numeroso.
    Quello che chiamo ‘individualismo idealistico’ è un prodotto culturale della democrazia stessa, di un'intelligenza speculativa ma poco pratica, poco partecipativa: ognuno dà valore al proprio pensiero, lo difende, non molla e non viene a compromessi, e in più si nutre di qs soddisfazione.
    Rinunciare all’individualismo idealistico significherebbe per molti piccoli leader rinunciare alla piccolissima fetta di potere e soddisfazione che ora comunque hanno e forse sperano di avere di più in futuro. Politicamente è poca, ma nella vita individuale di una persona conta.
    Secondo me, oltre alla differenza di idee, c’è anche qs piccola ambizione di molti singoli ‘micro-leader’, che impedisce oggi un’unità a sinistra.
    La valorizzazione delle diversità e delle sfumature di opinioni è una forma più democratica e più interessante, ma risulta più intelligente solo se si può realizzare in una struttura ‘acefala’, paritaria, non la si può costringere nella struttura verticistica, non ci stà.
    Un cacerolazo può unire per strada quelli che dicono che Bersani non è di sinistra e quelli che dicono che è un pericoloso rivoluzionario, ma si torna a casa nella stessa condizione.
    O facendo fracasso adotteremo inconsapevolmente il modello politico ‘uso della trance’ e dopo avremo idee geniali…? che però vanno applicate nel modello politico acefalo…
    Silvia

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