Le risposte dirette di Renzi ed Elena Boschi sono state
sprezzanti. Gli opinionisti allineati si sono scatenati. Su una radio della Rai
ho sentito una trasmissione che dedicava una ventina di minuti a queste
reazioni indignate, senza una sola parola a favore dei “professori” imputati.
Per Belardelli, tipi come Rodotà, Zagrebelski, Sandra Bonsanti, Beppe Grillo, Pancho Pardi, Barbara Spinelli, Ferdinando Imposimato e Fiorella Mannoia sono, tutti insieme, eredi diretti delle correnti “intransigenti”, “massimaliste” e “rivoluzionarie” della antica sinistra italiana. Per questo illuminato opinionista, il problema della sinistra italiana sarebbe stato da anni l’incapacità delle correnti “riformiste” di “individuare negli intransigenti il proprio avversario”. Adesso finalmente Renzi ha avuto questo coraggio, lode a lui.
Evidentemente Belardelli non si è mai accorto di quanto
abbiano fatto D’Alema, Veltroni, Violante e tutta quella bella compagnia per
avversare ed emarginare tutto quello che i firmatari di questo appello
rappresentano e per accreditare invece Berlusconi come valido interlocutore di
qualsiasi riforma istituzionale.
Evidentemente Belardelli non si accorge di quanto siano
lontane le posizioni di Renzi-e-D’Alema-insieme dal riformismo di gente come
Nenni, o Bobbio, o Calamandrei, né quanto distino i pensieri di Bonsanti-e-Grillo-insieme
da quelli di Togliatti o di Bordiga. Barbara Spinelli, che sedette con Prodi al
gruppo Bilderberg, per lui è una tenebrosa estremista erede chissà se di
Trotsky o di Bakunin. Per lui, Berlinguer non fu un riformista, ed è ora di
dirlo a chiare lettere. Il vero riformismo, a quanto pare, è quello di Berlusconi,
e tutti quelli che si rifiutano di riconoscerlo sono allo stesso tempo “conservatori”
e “rivoluzionari”.
Dico che tutto questo è delirante, perché stravolge i fatti
in modo davvero grottesco. Coloro che avversano i progetti di rafforzamento
dell’esecutivo sono proprio gli eredi della sinistra democratica, ragionevole,
posata e intelligente che ebbe in Calamandrei e nei fratelli Rosselli alcuni
dei suoi esponenti più nobili. Mentre il preteso “riformismo” di quanti
vogliono l’uomo solo al comando e il governo onnipotente è invece qualcosa di reazionario nel senso più proprio della
parola. Questa propensione per la concentrazione del potere non è un dettaglio
tecnico, non è una questione di efficienza o di efficacia. E’ una svolta che ha
qualcosa di epocale. I reazionari d’antan
reagivano contro il modello fraterno del potere immaginato dall’illuminismo in
favore del modello paterno delle monarchie assolute, sottraendovi il mandato del
Cielo. Così questi piccoli eredi di Talleyrand reagiscono contro il modello
fraterno della Costituzione repubblicana in favore di un modello paterno che,
sottratto per forza di cose il totalitarismo, echeggia pericolosamente il
fascismo che i padri costituenti aborrivano.
Belardelli chiama “riformismo” questa forma di parodistica
reazione e confonde con Stalin e Beria gli eredi del riformismo più illuminato.
La sua analisi non potrebbe essere più ottusa e confusa.
Tanto più che, nella sua furia reazionaria, il baldanzoso
fustigatore dell’intelligenza trascura di ricorrere all’unico argomento sensato
che avrebbe potuto sollevare contro questo appello.
Avrebbe potuto osservare che l’appello attribuiva alle
riforme di Renzi l’intento di “creare un sistema autoritario che dà al
presidente del consiglio poteri padronali”, cosa che non è presente per nulla
negli attuali progetti di riforma costituzionale, che riguardano il Senato e il
Titolo V. Matteo Renzi ha chiaramente dichiarato che il rafforzamento dei
poteri del premier non era nell’accordo del Nazareno e non è nel disegno di
legge costituzionale del governo.
Se Belardelli si guarda bene dal sollevare questa obiezione,
forse questo è un segno che quell’intento non è del tutto estraneo ai propositi
di Renzi e degli opinionisti allineati, come certamente non lo è stato ai
propositi di Berlusconi. Tuttavia è un dato di fatto che, nel disegno di legge
costituzionale attualmente sul tappeto, un simile proposito non c’è.
Forse si può argomentare che l’abolizione del Senato e delle
province vada anche in quella direzione, ma è un’argomentazione piuttosto
avventurosa, che è appena timidamente abbozzata nel testo dell’appello. La mia
impressione è che Renzi sia troppo furbo per proporre in questa fase quei “poteri
padronali” del premier che sicuramente non gli dispiacciono. Sa benissimo che
il rafforzamento dell’esecutivo non è apprezzato dalla maggioranza della
sinistra e da almeno la metà degli italiani, mentre l’abolizione del Senato e
delle province può riscuotere molto più consenso. Pertanto non si gioca il suo
futuro in una partita incerta. Semmai aspetta di veder consolidato il suo
potere. Per questo, forse, non era il caso di gridare al lupo quando il lupo
non è ancora arrivato. La ristrutturazione del senato e delle province non
avrebbe in sé nulla di particolarmente temibile al di là del fatto che, così
com’è, appare piuttosto sgangherata. Tutt’altro che decisive, come Renzi
vorrebbe far credere, queste riforme sono invece piuttosto insignificanti.
Il problema è che sono ambigue: non si capisce in quale
progetto di futuro costituzionale del paese siano iscritte. A questo punto
della nostra storia, siamo davanti ad un bivio: si tratta di decidere se
andiamo incontro ad una concentrazione del potere di comando nelle mani di
chiunque sia riuscito a impadronirsi del governo, magari attraverso la
manipolazione dell’informazione, della televisione o del sistema elettorale; o
se invece vogliamo temperare la forza del potere col confronto delle opinioni,
il consenso col dissenso, la potenza di chi comanda con la voce di chi non ha
voce. Come è nello spirito della democrazia costituzionale.
C’è bisogno di sciogliere questo nodo: e Renzi, per il
momento, non lo scioglie. Il lupo per adesso non è in vista, ma è certamente in
agguato. Se dovesse tornare all’attacco, di sicuro saremo al fianco di Fiorella
Mannoia, di Nando Dalla Chiesa, Pancho Pardi, Barbara Spinelli e perfino di Beppe
Grillo a difendere il sogno che ispirò i costituenti repubblicani.
Anzi no, scusate, mi correggo. Quello non fu un sogno che
ispirava i costituenti: fu un sogno che incombeva
su di loro.
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