Mercoledì 16 maggio il Procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aia Luis Moreno Ocampo ha riferito al Consiglio di Sicurezza Onu sui crimini commessi in Libia durante e dopo la guerra.
“Il mondo ascolti cosa avrà da dire Ocampo, e lo giudichi”, avevamo scritto quel giorno, presentando su questo blog l’appello a lui rivolto da un nutrito gruppo di personalità italiane. Ebbene, il mondo non lo ha ascoltato, perché quasi tutti i media internazionali hanno steso un velo di ferreo silenzio sulla vicenda. Che invece non è del tutto priva di interesse, dato che, fra le altre cose, è la prima volta nella storia che atti di guerra della Nato rischiano di finire sotto inchiesta davanti ad un’autorità internazionale. Vediamo dunque cosa ha detto Ocampo.
Dopo essersi dilungato sul problema, che non è oggi esattamente prioritario, del processo a Seif ul-Islam Gheddafi, il procuratore ha infine annunciato che il suo ufficio "sta richiedendo ulteriori informazioni" su cinque attacchi aerei Nato che hanno causato oltre 60 vittime civili. Questo dopo aver specificato che il suo ufficio "non ha giurisdizione per valutare l'effettiva portata del mandato Nato in relazione alla risoluzione 1973".
Il procuratore ha poi menzionato le detenzioni arbitrarie di sostenitori di Gheddafi accusati di crimini, chiedendo con forza il "trasferimento alle autorità centrali" di "migliaia di detenuti", il rilascio di quelli trattenuti senza ragione, e la chiusura dei "centri di detenzione non ufficiali e non riconosciuti". Ha ricordato le notizie su "presunte" torture e sevizie dei ribelli ai danni di questi prigionieri, chiedendone la cessazione. Ha ricordato alcuni (pochi) dei crimini imputabili ai ribelli a guerra in corso, come l'aggressione a Tawargha e l'uccisione di Gheddafi.
Fatte queste constatazioni, Ocampo ha comunicato che il governo libico si è impegnato a perseguire "i crimini più gravi commessi da tutte le parti", ha ricordato che il suo ufficio ha il mandato di investigare quei crimini, ma nel rispetto dei "procedimenti nazionali genuini", ha invitato il governo libico a dimostrare che “l’impunità non sarà ulteriormente tollerata”, ed ha annunciato che pertanto il suo ufficio “seguirà da vicino i procedimenti nazionali in Libia", auspicando che avvengano nel "rispetto dei diritti umani e della supremazia della legge".
A questo punto ha richiamato la risoluzione 2040 approvata nel marzo scorso dal Consiglio di sicurezza, laddove sottolinea “l’importanza della cooperazione per assicurare che i responsabili di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, compresi gli attacchi diretti a civili, siano chiamati a risponderne” ed infine ha concluso dichiarando che il suo ufficio resta impegnato a “garantire che sia resa giustizia per tutte le vittime della Libia”.
Nella successiva conferenza stampa, Ocampo ha dichiarato che la cosa più urgente per le autorità libiche adesso è decidere quali fra le migliaia di detenuti accusati di crimini commessi sotto Gheddafi vadano perseguiti o rilasciati. Fra le altre cose, ha specificato secondo l’ambasciatore di Libia, il paese ha di recente introdotto una legislazione capace di “garantire giustizia nel perseguimento degli accusati”. Un’osservazione infelice, dato che appena il giorno prima Human Rights Watch aveva denunciato due leggi recentissime, la 37 e la 38, che penalizzano le espressioni di dissenso dalla “rivoluzione” e garantiscono impunità per i crimini commessi in suo nome. A chi gliene chiedeva conto subito dopo, Ocampo ha tuttavia risposto che queste norme non sono in alcun modo vincolanti per la Corte. A chi, infine, gli chiedeva cosa poteva fare la Corte per impedire le torture in corso ad opera dei miliziani, Ocampo ha risposto: nulla, perché questo è competenza delle autorità libiche.
Che giudizio dare sull’operato di Luis Moreno Ocampo? Criticarlo è facile, in particolare, come c’era da aspettarsi, per quanto riguarda gli atti della Nato.
Appare decisamente evasivo limitarsi a “richiedere ulteriori informazioni” sulle vittime civili degli attacchi aerei, quando queste sono state, almeno in parte, denunciate e documentate da mesi (vedi, oltre al rapporto della Commissione Onu citato nel nostro appello, quello di Amnesty e quello recentissimo di Human Rights Watch). Un’autorità davvero “indipendente e imparziale”, per usare le parole dello stesso Ocampo, avrebbe semplicemente iniziato l’azione penale.
Ma purtroppo non è questo l’aspetto più grave dell’intera vicenda.
E’ grave che siano stati appena menzionati, quasi di sfuggita, i crimini commessi dagli insorti durante la guerra, che hanno causato un numero imprecisato di vittime, civili e non, che si contano forse nelle decine di migliaia. Ai sensi del diritto internazionale, al di là di ogni considerazione politica o morale, durante gli attacchi a Sirte, a Bani Walid, a Tawargha e a tanti altri centri, sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, cosa riconosciuta anche dalla Commissione d’inchiesta Onu. Richiamare la promessa delle autorità libiche di indagare sui crimini di tutte le parti, quando è appena stata approvata una legislazione che impone l’esatto contrario, suona quasi come una beffa.
Non meno grave è che Ocampo dichiari al Consiglio di Sicurezza di non avere “giurisdizione per valutare l’effettiva portata del mandato Nato in relazione alla risoluzione 1973” . Lui non deve valutare la portata di un mandato. Deve valutare degli atti, che non sono stati conformi ad alcun mandato. Deve valutare, in base allo Statuto della Corte e al diritto di guerra, le immediate responsabilità di chi ha militarmente sostenuto e concretamente reso possibile l’azione militare degli insorti, anche quando stavano commettendo su larga scala, come recita il nostro appello, “proprio quei crimini che la risoluzione mirava ad impedire”. Non vi è alcun dubbio che questo rientri nella sua giurisdizione. E’ qui che si tocca il cuore del giudizio politico, giuridico e morale da dare sull’intervento “Unified Protector”. Se la reticenza del Procuratore su questo punto era naturalmente del tutto prevedibile, non per questo è meno degna di condanna.
L’unico punto su cui la dichiarazione di Ocampo mostra una certa fermezza sono i crimini ancora in corso ad opera delle milizie, che comprendono assassini di esponenti gheddafisti, detenzioni arbitrarie su larghissima scala e gravissimi e numerosi episodi di tortura sui detenuti. Tanto per fare un esempio, il 26 gennaio scorso, Médécins sans Frontières annunciava il ritiro dai centri di detenzione di Misurata dei suoi operatori , dopo che questi avevano dovuto curare 115 detenuti orrendamente torturati durante gli interrogatori, e che venivano spesso riavviati alla tortura dopo le loro cure. Questi crimini sono in corso a tutt’oggi. Secondo Human Rights Watch, le milizie detengono oggi non meno di 5000 degli oltre 8000 detenuti politici, che sono quasi tutti senza processo. Chiedere almeno la chiusura dei centri di detenzione delle milizie e la consegna dei prigionieri alle autorità centrali era il minimo che Ocampo potesse fare.
Tuttavia, anche questo era tutt’altro che scontato, e merita pertanto apprezzamento.
Così come va apprezzato il fatto che il procuratore non abbia sbarrato la strada all’eventualità di future indagini a tutto campo, subordinandola solo ad una eventuale assunzione di responsabilità delle autorità libiche in materia, cosa che appare del tutto improbabile. Prendendo alla lettera la dichiarazione di Ocampo, l’azione penale contro le autorità libiche per i crimini post-bellici appare inevitabile, quella per i crimini a guerra in corso possibile, quella per le vittime civili della Nato non del tutto esclusa.
Dunque l’appello “Affinché non succeda mai più” risulta tutt’altro che obsoleto. Esiste la possibilità che una forte pressione dell’opinione pubblica porti infine ad una riconsiderazione in sede giudiziaria, e dunque anche politica e morale, dell’intera vicenda della guerra di Libia. Ocampo ha ormai finito il suo lavoro. Il suo mandato scadrà nel giro di un mese. Tutto dipenderà adesso da chi erediterà la sua carica.
Bisogna mantenere la pressione. Invitiamo pertanto tutti quelli che hanno a cuore la pace a far circolare l’appello "Affinché non succeda mai più" e a firmarlo sul sito di Peacelink.
Bisogna mantenere la pressione. Invitiamo pertanto tutti quelli che hanno a cuore la pace a far circolare l’appello "Affinché non succeda mai più" e a firmarlo sul sito di Peacelink.
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