lunedì 16 gennaio 2012

Le fiction sulla crisi finanziaria e le colpe dei potenti che la vogliono.

Il declassamento di Standard & Poor’s è l’ultimo gesto di una lunga catena di atti deliberati compiuti da diversi potentati, che espongono l’Italia al rischio della rovina economica. Ma una spessa cortina di nebbia e di fiction impedisce ai più di percepire che cosa è in gioco dietro la facciata. Il problema è chi prevarrà fra chi vuole soltanto forzare un insieme di scelte politiche e chi vuole il default dell’Italia e la fine della moneta europea.

E’ arrivato il declassamento. Col rating BBB+ dell’ineffabile Standard & Poor’s, i titoli pubblici italiani hanno fatto il loro ingresso trionfale nell’ “Investment grade inferiore”. Non sappiamo ancora se questo giudizio sarà tranquillamente ignorato, come si meriterebbe, o se sarà il preludio di uno nuovo massiccio attacco speculativo.
Il guaio è che, mentre tutti ci interroghiamo con qualche sgomento su cosa ci riservi l’immediato futuro, le rappresentazioni che ci vengono fornite sulla natura, le cause e i rimedi della crisi in atto appartengono in larga misura al regno della fiction.
E’ fiction far credere che la manovra di Monti abbia modificato in modo decisivo le condizioni di solvibilità dell’Italia. Anche se gli effetti sul deficit saranno sensibili, la montagna del debito è stata appena scalfita e la capacità del Tesoro di rimborsare i creditori non dipende in realtà da nessuna decisione del governo, ma dall’andamento dei tassi d’interesse sui mercati finanziari. E’ fiction far credere che la soluzione possa venire dalla “crescita”: con il peso delle politiche restrittive messe in campo, sarebbe un miracolo raggiungere a breve una crescita dell’1 per cento e anche questo miracolo inciderebbe ben poco sul rapporto debito/Pil e sulla solvibilità del nostro debito pubblico. Del resto è altrettanto fictional far credere che un simile inefficace prodigio possa venire dalle misure di liberalizzazione che si prospettano.
Ci sono tre livelli ben distinti sui quali questa crisi si dipana.
Uno è il livello planetario, che è quello su cui operano i mercati finanziari. Uno è il livello europeo, con la moneta unica e le istituzioni comunitarie. Il terzo è il livello italiano, dove il governo Monti è impegnato nelle decisioni di cui più si discute in questo momento.
Se vogliamo fuoruscire dalla fiction, per prima cosa si tratta di riconoscere che il livello decisivo è il primo, che è proprio quello di cui meno si discute. La vera causa di questa crisi non risiede né nelle “contraddizioni intrinseche” al capitalismo, come vorrebbero alcuni, né nella presunta insolvibilità dei paesi periferici europei, ma nel peculiarissimo assetto che è stato dato ai mercati finanziari internazionali a partire dagli anni Novanta in omaggio all’ideologia neoliberista. E’ solo quando ci si deciderà ad affrontare una profonda ristrutturazione e ri-regolamentazione dei mercati del denaro a livello planetario, che si potrà dare una soluzione duratura alle minacce che incombono sull’Europa e sul mondo. E’ una fiction che fa molto comodo a chi su di esso ha costruito il suo colossale potere economico, far credere che l’attuale assetto delle transazioni internazionali sia l’unico compatibile con l’intrinseca natura del capitalismo. Questa è una grave patologia del capitalismo, che va curata con interventi radicali di portata globale. Invece l’unica proposta significativa che si discuta a questo livello è l’imposta sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin tax, che è appena un bruscolino in confronto a quel che ci vorrebbe per dare finalmente al mondo un sistema finanziario internazionale equo, stabile e sicuro per tutti.
Ma purtroppo è evidente che non è da qualche intervento a questo livello che possiamo sperare in una fuoruscita immediata dalla crisi in corso.
Il livello critico, in questo momento, è il secondo, il livello europeo. E’ un grande passo avanti verso una possibile soluzione il fatto che il governo Monti abbia deciso, almeno per il momento, di mettere un punto fermo alle politiche di “rigore” a livello italiano per spostare l’attenzione sulle decisioni da prendere in Europa. Noi abbiamo “fatto i compiti”, dichiara Monti, adesso è l’Europa che deve muoversi. Ma il guaio è che anche qui, purtroppo, proliferano le fiction.
E’ una fiction far credere che i tedeschi stiano pagando per questa crisi, quando è proprio verso la Germania che stanno affluendo i capitali di rischio sottratti ai paesi periferici, consentendo a imprese, famiglie ed erario tedesco di finanziarsi a tassi irrisori rispetto a quelli italiani. E’ una fiction l’idea che qualsiasi intervento europeo a sostegno dei paesi periferici debba pesare sulle tasche dei contribuenti tedeschi o degli altri paesi forti. E’ una fiction indicare la via d’uscita in un fondo “salva-stati” finanziato dai bilanci statali o in eurobbligazioni garantite dagli stati. E’ una fiction perché, come ben sanno tutti gli osservatori avveduti, e come ha più volte ribadito il Financial Times, è la Banca Centrale Europea che ha nelle sue mani il potere di far crollare in un fiat i tassi sui debiti sovrani nel mercato secondario, se solo si decidesse ad annunciare acquisti illimitati di quei titoli.
Si badi bene: contrariamente alla formula corrente, questi acquisti non hanno nulla a che fare con una presunta funzione di “prestatore di ultima istanza”. Quello che oggi occorrerebbe non sono finanziamenti diretti al Tesoro dei paesi in difficoltà, ma semplicemente acquisti dei titoli già in circolazione, ossia le cosiddette “operazioni di mercato aperto”, con le quali la banca centrale può sì creare moneta, ma non erogandola agli stati, bensì, sul mercato secondario, ai precedenti possessori dei titoli. E quel che più conta è che non ci sarebbe nemmeno bisogno di operazioni di grossa portata, poiché basterebbe il semplice annuncio dell’intento di procedere ad acquisti illimitati per costringere tutti i venditori allo scoperto a ricoprirsi e attirare masse ingenti di capitali sui titoli oggi sotto attacco. E’ bene sottolineare che quest’ultimo punto non è un’ipotesi: è stato dimostrato dai fatti, quando lo spread sui Bund tedeschi scese a 370 punti base nei giorni precedenti all’ultimo vertice europeo, quando si era diffusa l’aspettativa di un annuncio di questo genere, senza che ci fosse stato alcun acquisto effettivo da parte della BCE.
Abbiamo già argomentato su questo blog, sulla scorta di voci ben più autorevoli, che questa è la via da seguire. Se ci torniamo sopra, è perché ben pochi sembrano consapevoli che questo è proprio il punto cruciale di questa crisi: la banca centrale dispone di un’arma con la quale potrebbe riportare a livelli accettabili i tassi di mercato sui debiti sovrani, rivalutando i loro corsi e di conseguenza mettendo al sicuro le banche europee che li detengono e il patrimonio di innumerevoli risparmiatori. Può fare tutto questo senza minimamente incidere sulle tasche del famoso “contribuente tedesco”. E si sta rifiutando di farlo. Perché?
Le giustificazioni addotte per questo dannosissimo comportamento sono state tre. Vediamole una per una.
1) Si è sostenuto che un intervento del genere è vietato dai trattati europei. E’ falso. L’art. 123 del trattato di Lisbona vieta, semmai, i finanziamenti diretti al Tesoro degli stati membri. Ma le operazioni di mercato aperto, cioè il quantitative easing sul mercato secondario, non violano in nessun modo alcun trattato: tanto è vero che sono in corso da un pezzo, attraverso il Securities Markets Programme che è stato appositamente creato in seno alla BCE. Il problema è che l’entità di questi acquisti (da meno di uno a pochi miliardi alla settimana) è assolutamente irrisoria rispetto ai livelli quantitativi che sarebbero necessari per neutralizzare le turbolenze dei mercati. E il guaio è soprattutto che l’intenzione di contenerli viene continuamente ribadita dai vertici BCE.
2) Si è argomentato con grande enfasi che acquisti massicci di titoli, comportando emissione di moneta, produrrebbero inflazione, lo spauracchio più temuto dai tedeschi, secondo il ritornello che si va ripetendo. E’ falso. E’ falso perché con le formidabili politiche di rigore che sono state messe in campo, un’inflazione che sfugga di mano è l’ultimo dei pericoli, mentre una modesta inflazione controllata aiuterebbe a contenere l’onere dei debiti sovrani. E’ falso perché se così fosse non si spiegherebbero le massicce immissioni di liquidità operate dalla BCE attraverso il canale bancario, che comportano anch’esse un aumento della massa monetaria in circolazione. E’ falso perché è stato calcolato che sarebbe possibile immettere fino a circa tremila miliardi di liquidità in operazioni di mercato aperto senza rischiare grossi effetti inflazionistici.
3) Resta allora l’ultimo argomento, quello più spesso sollevato, con arcigna e pensosa solennità: l’Azzardo Morale. Sarebbe un grave azzardo per la loro “moralità” se gli stati pensassero di potersi indebitare fino al collo senza problemi, contando sul soccorso di una banca centrale che crei moneta dal nulla. Ora, non siamo certo noi a coltivare l’idea che il debito pubblico vada lasciato senza freni, come hanno fatto Craxi e Berlusconi. Ci sono una quantità di ottime ragioni per ritenere che sia più savio contenerlo.
Ma non è un po’ curioso sentir parlare di “morale” chi è fermamente convinto che non ci sia nulla di più dannoso che imporre vincoli morali al Mercato? Non è un po’ curioso sentir usare questa parola a chi non trova nulla da ridire se qualcuno riscuote interessi del 20-30 per cento (e perfino del 98!) da un paese divorato dal bisogno come la Grecia? Nell’ordinamento della nostra Repubblica, questi tassi configurano il reato di usura: ma sui mercati finanziari internazionali non solo sono ammessi, ma sono anche “morali”. Mentre è immorale che lo stato spenda per mettere a riposo chi ha lavorato quarant’anni.
Lasciamo dunque da parte l’Etica, che è un concetto troppo alto per le bassezze della finanza contemporanea. Sostituiamola con la parola giusta: l’azzardo in questione è politico. Il rischio è che gli stati non accettino quel discutibilissimo pacchetto di pesanti misure politiche che è la principale mira dei servitori dell’ideologia neoliberista.
In altre parole, quello che la BCE pretende d’imporre con il suo comportamento non ha nulla a che fare col rigore morale: è una precisa linea politica, quella indicata nella famosa lettera segreta del 5 agosto scorso e successivamente ribadita con dovizia di dettagli nell’altra missiva del commissario finlandese Olli Rehn del 4 novembre 2011.
Riassumendo: lo spread non sarebbe a questi livelli, le banche non avrebbero bisogno di ricapitalizzarsi, i risparmi e il futuro degli italiani non sarebbero in pericolo, la crisi non ci sarebbe, se la BCE non scegliesse deliberatamente di creare ad arte le condizioni che la rendono possibile, con l’unica giustificazione di imporre agli stati sovrani la sua linea di politica fiscale.
Ora, se anche questa linea politica, quella del rigore avanti a tutto, fosse la più benefica e la più savia, non ci sarebbe da chiedersi in che modo tutto questo sia compatibile con la dottrina dell’indipendenza delle banche centrali? Sarebbe il caso di ricordare che questa dottrina non ha nulla a che fare con i principi dello stato di diritto o i requisiti della democrazia. Si basa esclusivamente sul principio, già di per sé tutt’altro che indiscutibile, che la politica monetaria è un insieme di decisioni tecniche che devono essere sottratte al diretto controllo dei governi, affinché non abusino del potere di creare moneta producendo inflazione.
Ma nel momento in cui questa “autorità monetaria” si autoinveste del potere di imporre decisioni di politica fiscale, non infligge forse un colpo mortale alle giustificazioni della propria indipendenza? Determinare la politica fiscale significa semplicemente decidere cosa fare dei soldi di un popolo intero. Non è forse questo un potere che dovrebbe spettare ai rappresentanti eletti del popolo sovrano? Non è forse vero che le democrazie moderne sono nate sul principio no taxation without representation? Se una banca centrale deve decidere cosa fare dei soldi dei cittadini, allora dovrebbe rispondere delle sue decisioni ai cittadini stessi e sottoporsi al controllo democratico.
Nel momento in cui essa ha acquisito il potere di imporre ai governi le sue scelte politiche, la sua indipendenza non ha più alcuna ragion d’essere. E’ come se la magistratura pretendesse di fare le leggi. Peggio: perché questa banca centrale, imponendo la costituzionalizzazione del vincolo di bilancio, pretende anche di fare le costituzioni.
Davanti ad abuso così gigantesco, ci si sarebbe potuti aspettare che i popoli e i governi insorgessero come un sol uomo. E invece nulla. Davanti al sacro dogma dell’indipendenza si inchinano i governi più potenti del mondo. Come mai?
Non è difficile capire perché. La verità è che la Banca Centrale Europea non è affatto indipendente. Questa è solo un’altra delle tante fiction che ci vengono somministrate. E’ strettamente legata a potentissimi centri di potere politico ed economico che condividono e orientano i suoi comportamenti, primo fra tutti il governo tedesco. Prova ne sia che tutti danno per scontato che, per cambiare la linea della BCE, si debba convincere Angela Merkel, non i vertici di quell’istituto.
Il problema che oggi si pone è: a che cosa mira veramente il governo tedesco e i centri di potere ad esso federati? Che cosa aspettano per decidersi a consentire a Draghi si usare quello che il Financial Times ha chiamato il “proiettile d’argento”?
Qui ci sono solo due ipotesi: o si mira ad ottenere ulteriori passi e ulteriori vincoli in materia di politica fiscale, oppure si mira al crollo dell’euro.
Che ci siano grossi potentati che desiderano il crollo dell’euro, è cosa difficile da dubitare. C’è chi lo vuole, per ovvie ragioni di supremazia del dollaro, negli Stati Uniti. C’è chi lo vuole in Germania, in Inghilterra, in altri paesi del nord Europa, e forse anche in seno ad altre potenze extra-europee. Queste sono forze che mirano al default dell’Italia.
Può darsi che ci siano altre forze che non vogliono il crollo dell’euro, ma stanno solo tirando la corda fino all’estremo limite per ottenere il massimo possibile dai paesi che hanno messo sotto accusa. Per esempio una ferrea unione fiscale a guida tedesca. O una piena deregolamentazione del mercato del lavoro. O forse altri obiettivi meno apertamente confessabili: sembra che tutti si siano dimenticati che nella lettera segreta di Trichet e Draghi c’era un capitolo che Monti ha completamente ignorato, quello delle privatizzazioni. Forse non è troppo ardito sospettare che qualcuno stia assecondando le mire di chi ha messo gli occhi su Enel, Eni, Poste Italiane e qualche altro gioiello italiano.
Quello che oggi dobbiamo constatare, dissipando per una volta tutte le fiction, è che l’evoluzione della crisi fino a questo punto è stata il frutto dell’azione combinata di chi mira al crollo dell’euro e di chi mira ad obiettivi politici che non prevedono il default dell’Italia. Fino a questo punto, a guardare gli atti di Mario Draghi, di Angela Merkel o del governatore della Bundesbank Jens Weidmann, si direbbe che abbiano fatto tutto quanto era in loro potere per fare felice chi mira al primo obiettivo, il default dell’Italia e la spaccatura dell’eurozona. Il discorso di Merkel a Kiel il 14 gennaio scorso conferma in pieno questa impressione. Se questo obiettivo sarà raggiunto, se arriveremo al fallimento dell’Italia, almeno si sappia chi dobbiamo ringraziare.
Se invece questi signori si fermeranno quando avranno ottenuto tutto quello che vorranno, almeno si sappia chi sono stati i responsabili degli immensi danni che tutto questo avrà arrecato non solo ai più deboli e bisognosi fra gli italiani e gli altri europei, ma al benessere e alla pace di questo continente.
Ci sarebbero elementi per concludere che, comunque vadano le cose, per l’Italia e gli italiani andranno male.  
Ma se guardiamo al di là dell’immediato, c’è posto per qualche lampo di speranza. Il neoliberismo è destinato a tramontare, è solo questione di tempo. Le precedenti ideologie economiche del capitalismo, quella classica di Adam Smith, quella neoclassica di Alfred Marshall e quella keynesiana, avevano una loro ragionevolezza e avevano, in diversa misura, una loro peculiare nobiltà. Questa no. Questa è un distillato di superbia e cattiveria che ha già prodotto tali e tanti danni che è un miracolo che ancora sopravviva. Forse mai nella storia dell’uomo così tanta sofisticata intelligenza era stata messa al servizio di così tanta bassezza morale. Forse possiamo sperare che quest’aggressione all’Italia e all’Europa, la più colossale operazione speculativa mai tentata nell’intera storia della finanza mondiale, sia l’errore fatale che segnerà l’inizio della fine per la trista ideologia che l’ha ispirata.


Nota Bene. Questo blog aveva avvertito dell’imminenza e della gravità della crisi oggi in atto fin dal lontano dicembre 2010, con il post La notizia più importante.
Una serie di post successivi ha sviluppato un’argomentazione complessiva di cui questo articolo non rappresenta ancora il compimento. Fra quei post, il più rilevante, in cui si chiarisce meglio perché il livello decisivo sia quello planetario, porta il titolo They Broke Their Backs Lifting Moloch to Heaven! – Un’analisi eretica sulla crisi finanziaria
Gli altri sono, in ordine cronologico:

10 commenti:

  1. Sicuramente dietro ad ogni crisi economica c'è l'azione di molti investitori, tra le quali molte aziende. Il loro unico scopo è far fallire i governi.
    Del resto le guerre dovrebbero aver insegnato come gira il mondo.
    Quanti stati e organismi politici insieme a quelli industriali trovano giovamento dalle guerre? molti, così appunto dalle crisi di governo, figuriamoci quelle legate all'euro, al dollaro, allo Yen.
    Poteri forti che vanno oltre all'immaginazione, ma sicuramente presenti e pronti a tutto, quel pronto a tutto che non si vergogna di vedere morire di fame un bambino, di mettere in crisi intere famiglie, e di lucrare sui poveri.
    Capi di stato, petrolieri, banchieri, prorpitari di giacimenti,(oro-diamanti)guarda caso su ogni fallimento aumentano.
    La germania è maestra in questo, aspetta il momento per salvare e lucrare, un modo diverso per la conquista del mondo, non ottenuta da un loro predecessore.
    La francia, sorgnona, fa la bella donna, pronta a vendersi al miglior offerente, l'Inghilterra sa da tempo ma come sempre è indifferente.
    L'Italia? se viene governata da anni da uno come Berlusconi.... e qui ho detto tutto.
    Un abbraccio
    Paolo Manneschi

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  2. Caro Alberto, questo tuo intervento è, purtroppo, perfetto: per quanto riguarda l'ottica tedesca, finamente si capisce cosa di massiccio ci sia dietro la Merkel. Sono rimasto sorpreso sentendo ieri Jacques Attali sostenere anche lui senza altre analisi che la
    cancelliera vuole vincere le elezioni - intanto la Cdu cala e la Fdp sta sparendo. Ci ho ritrvato anche qualche mia ipotesi, specie sulle privatizzazioni, e quanto scrivi ne è conferma ben più lucida. Rimane
    da capire lo scontro per così dire infraeconomico: veccchia/nuova energia, vecchi/ nuovi prodotti, vecchi/nuovi mercati, economia finanziaria/economia reale, ma sono certo che ne scriverai.
    Un mio amico, che spara a zero sugli economisti tedeschi, parla bene solo del commentatore della Frankfurter Rundschau. Se ne vale la pena, te ne
    riferirò.
    Lebe wohl, Mario

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