giovedì 10 novembre 2011

Il Financial Times a Draghi: è l’ora del proiettile d’argento. Traduzione italiana con commento dell’articolo di Alexander Friedman.

“Trichet l’ha fatta grossa per davvero”, titolava questo blog il 5 agosto scorso, dopo che l’allora capo della BCE si era apertamente rifiutato di intervenire sui titoli del debito italiano, scatenando l’ondata speculativa che portò per la prima volta lo spread sui bund a quota 400.
Ancora non si sapeva, ma quello era proprio il giorno della famosa lettera segreta al governo italiano. I cui intenti politici erano apparsi chiari, almeno a chi scrive, ancor prima che fosse resa nota la sua esistenza, come si può constatare rileggendo quel post.
Adesso Draghi ha rifatto esattamente la stessa cosa, quando giovedì scorso ha dichiarato che gli interventi della BCE sul debito sovrano sarebbero stati “temporanei” e “limitati”, e quando, nella giornata di oggi, si è limitato ad acquisti di minima entità lasciando correre i rendimenti dei Btp ben oltre la soglia del sette per cento.
Scrivevamo allora: “Era chiaro ed evidente che l’unica cosa che potesse arrestare l’alluvione di vendite speculative allo scoperto sui titoli italiani era l’annuncio dell’intento di acquistare il debito sovrano italiano e spagnolo da parte della BCE.
Si badi bene: nella situazione di tensione spasmodica che si era creata, sarebbe bastato l’annuncio, un vago cenno interpretabile in quel senso, per rendere potenzialmente superfluo l’intervento stesso. Chi si era sbilanciato si sarebbe precipitato a ricoprirsi e le acque si sarebbero, almeno momentaneamente, calmate.
Cosa ha fatto Trichet? L’esatto contrario. Ha invitato l’Italia ad anticipare il pareggio di bilancio, come se non sapesse che è proprio il vertiginoso aumento dei tassi generato dalle vendite allo scoperto a causare l’irrecuperabilità del deficit e non certo il contrario.”
Esattamente allo stesso modo, Draghi ha dichiarato giovedì scorso che il rimedio alla crisi del debito deve venire dalle politiche fiscali degli stati e non dagli interventi della BCE. E così facendo ha scatenato la speculazione, alla quale nel frattempo offrivano il destro gl’inqualificabili comportamenti di Silvio Berlusconi e le tortuose elucubrazioni delle opposizioni.
Esattamente come allora, l’unico vero argine alla speculazione non può certo venire da questa o quella manovra concepita nell’infuriare dell’emergenza. L’unico argine può venire da un energico intervento della BCE.
Ci conforta constatare che l’opinione che esprimevamo allora, e che a maggior ragione ribadiamo oggi, è condivisa in pieno da osservatori ben più autorevoli.
Alle 12.29 di ieri, mentre l’alluvione speculativo travolgeva tutti i titoli italiani, il “Financial Times” pubblicava on line un articolo dal titolo “E’ l’ora di sparare il proiettile d’argento, Mr. Draghi” (vedi l'originale). C’è da augurarsi vivamente che l’interessato raccolga stavolta l’altisonante invito del più autorevole quotidiano della City. E che lo faccia al più presto. Altrimenti sarà lui, con tutti i suoi compadres, a portare sulle spalle la responsabilità della rovina dell’Italia, forse ancor più dello stesso Berlusconi.
Ecco la traduzione integrale di quell’articolo:

E’ ora di sparare il proiettile d’argento, Mr. Draghi
di Alexander Friedman
“Financial Times”, 9 settembre 2011.

Nel folklore, il proiettile d’argento è un modo popolare per uccidere il mostro. Nel mondo reale, siamo abituati a sentirci dire dai policymakers che non ci sono proiettili d’argento per i nostri problemi complessi. Oggi è chiaro di cosa hanno bisogno i leader dell’eurozona per limitare i danni dell’implosione greca, ricapitalizzare le banche più importanti e mettere sotto controllo i problemi del debito sovrano italiano e spagnolo. Hanno bisogno di tempo. Il tempo è il proiettile d’argento e c’è solo un’organizzazione che può fornirlo.
La Banca Centrale Europea, guidata adesso da Mario Draghi, deve accettare il suo ruolo di prestatore di ultima istanza in Europa. La BCE potrebbe mettere fine al panico che investe il mercato dei titoli pubblici italiani e spagnoli, ed è l’unica istituzione al mondo che abbia questo potere. Per farlo, dovrebbe promettere un sostegno a liquidità illimitata ai mercati del debito sovrano dei paesi solvibili. Finché il suo sostegno rimane riluttante, “limitato” e “temporaneo”, i mercati periferici dei titoli obbligazionari e dei CDS resteranno vulnerabili alla debole domanda e agli attacchi speculativi.
La Grande Depressione produsse molte lezioni, ma nessuna fu più importante del riconoscimento dell’importanza di un prestatore di ultima istanza. Che cosa mise fine al tremendo panico del mercato che segnò il punto più basso della crisi finanziaria statunitense del 2008? Si può argomentare che fu un’intervista televisiva al capo della Federal Reserve Ben Bernanke, in cui questi dichiarava che la Fed era il prestatore mondiale di ultima istanza. Alla domanda se si fosse messo a “stampare moneta”, Bernanke rispose: “Beh, in effetti… ed è una cosa che dobbiamo fare, perché la nostra economia è molto debole e l’inflazione è molto bassa”.
Malauguratamente, nella crisi europea del debito sovrano del 2011, la banca centrale dell’Europa è stata più timida di fronte a minacce verosimilmente più gravi. La BCE è stata riluttante ad agire per via della storia stessa dell’Europa e per paura delle conseguenze politiche per il futuro. La BCE rimane ancorata alla tradizione di rigida lotta all’inflazione della Bundesbank, che si è sviluppata per effetto della lezione storica dell’iperinflazione tedesca degli anni Venti. La BCE ha eseguito questo mandato con perfetto aplomb.
Tuttavia, ora che i rendimenti dei titoli di stato italiani hanno raggiunto livelli insostenibili oltre il 7 per cento, questa impostazione non è accettabile perché minaccia l’Italia di una crisi di solvibilità che destabilizzarebbe radicalmente i mercati globali, rovescerebbe probabilmente in recessione la nascente ripresa statunitense e spegnerebbe il motore della crescita ai mercati emergenti. La BCE deve fornire un sostegno aggiuntivo per impedire che questo accada. Ci sono un paio di modi in cui potrebbe farlo.
Il primo, consentire all’Efsf (il “fondo salva-stati”) l’accesso al prestito della BCE, sembra esser stato respinto in pieno nel corso del vertice europeo. Il secondo è potenzialmente più controverso, ma rimane sul tavolo e andrebbe perseguito. La BCE dovrebbe trasformare il suo programma di acquisto di bond, il Securities Market Programme, da “limitato” a “illimitato”, mettendo così un limite fermo alla corsa dei rendimenti che minaccia l’Italia e la Spagna. Nonostante quel che ha detto Draghi, e Jean-Claude Trichet prima di lui, la BCE è il prestatore di ultima istanza per gli stati sovrani, poiché non ne esistono altri. Ma bisogna che questo sia dichiarato.
E’ erroneo scartare l’opzione di un SMP espanso per via dei timori d’inflazione. Le stime della capacità non inflattiva di assorbimento di perdite dell’eurozona sono nell’ordine di 3000 miliardi di euro. Dato che le dimensioni combinate dei mercati di bond italiani e spagnoli sono di circa 2750 miliardi, quei 3000 miliardi significano praticamente una capacità illimitata. Di più: la semplice minaccia di un sostegno illimitato renderebbe verosimilmente l’effettivo intervento relativamente contenuto, come si è visto con l’intervento della banca centrale svizzera sul franco.
Ironicamente, l’attuale alternativa all’espansione del Securities Market Programme si rivelerà in ogni verosimiglianza una potente forza deflattiva. Il vertice europeo costringerà le banche a ricapitalizzarsi dopo aver adeguato a bilancio ai valori di mercato le loro attività in bond periferici. In conseguenza, almeno in parte, di questo, le banche si sono già impegnate a ritirare mille miliardi di dollari di credito, e la contrazione effettiva potrebbe risultare pari al doppio. Questa potente stretta creditizia sta già rigettando alcune parti dell’eurozona nella recessione e sembra minacciare perfino la grandiosa macchina da esportazione dell’economia tedesca.
I critici osservano che un SMP reso permanente non guarirebbe gli squilibri di bilancio e potrebbe causare “azzardo morale”, poiché i governi potrebbero essere indotti a perseguire politiche fiscali irresponsabili contando sul fatto che la BCE finanzierebbe i loro deficit. Tuttavia, i politici europei hanno dimostrato quest’anno in molteplici occasioni che le soluzioni improvvisate e adottate in tutta furia non sono il modo per risolvere questa crisi. Eppure, i leader sono costretti a queste decisioni affrettate per tentare di placare i mercati, come ha dimostrato il vertice di Cannes.
In ultima istanza, l’unica soluzione durevole richiede probabilmente la confederazione fiscale e l’emissione di eurobond. Ma questo richiede tempo e solo una presa di posizione coraggiosa da parte della BCE potrebbe calmare i mercati per un tempo sufficiente a consentire ai politici europei di considerare e negoziare le modifiche ai trattati necessarie a questo scopo.
E’ ora di usare il proiettile d’argento, Mr. Draghi.

Alexander Friedman è il responsabile del settore investimenti della UBS ed ex-responsabile del settore finanza alla Bill & Melinda Gates Foundation.

Solo due osservazioni a margine. Nel caldeggiare il ruolo di prestatore di ultima istanza della BCE, il Financial Times sta invitando l’Europa a imitare l’opzione americana del 2008, seppellendo così definitivamente uno dei dogmi centrali del monetarismo, cioè un cardine dell’ortodossia neoliberista: il famoso divorzio fra tesoro e banca centrale che impediva ai governi di finanziare il deficit creando moneta. Questo comporta, più ancora che una bocciatura di quel principio, la bocciatura di tutte le politiche neoliberiste che rendono oggi indispensabile accantonarlo. Significa riconoscere che tutte le politiche restrittive del neoliberismo, la “macelleria sociale” caldeggiata da Draghi e da Trichet, non sono la soluzione praticabile per questo tipo di tempeste finanziarie.
Seconda osservazione. Concordo pienamente con tutte le considerazioni dell’articolo, tranne l’ultima: l’unica soluzione durevole non è la confederazione fiscale e l’emissione di eurobond. Europeizzare la macelleria sociale non è la strada della salvezza. Significa fingere che gli squilibri nei conti pubblici siano davvero il fattore determinante di queste tempeste, quando dimostrano il contrario gli esempi del Giappone e degli stessi Stati Uniti d’America. Il fattore determinante è un altro: è l’assetto che è stato dato ai mercati finanziari, che non è un fenomeno naturale, ma il frutto di scelte precise che vanno condannate e cancellate. L’unica soluzione durevole è tutt’altra: togliere il bastone ai Mercati. Neutralizzare l’immensa forza d’urto di questa smisurata massa di denaro che è stata resa libera di imperversare per il mondo travolgendo governi, istituzioni e soprattutto la volontà dei popoli. Per far questo non basta una Tobin Tax: ci vuole ben altro.

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