venerdì 18 novembre 2011

Ed ecco servito Olli Rehn – Il documento degli economisti 2011

Conforta constatare che questo blog non è il solo a sostenere che non si uscirà da questa crisi se non cambia linea la Bce. Proprio mentre scrivevo il precedente post, si raccoglievano le firme per un appello di molte dozzine di economisti italiani e di tutto il mondo, in cui si legge fra l’altro:
“La mancata iscrizione tra i compiti della Banca Centrale Europea del tradizionale ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani ha contribuito ad esporre all’attacco i titoli del debito italiano e di altri paesi europei”. Dopo essersi dichiarati “fermamente contrari alla iscrizione nelle Costituzioni nazionali della clausola del pareggio del bilancio pubblico”, come ha fatto questo blog fin dal primo apparire di questa stralunata proposta, i firmatari affermano testualmente: “In queste circostanze riteniamo che il nuovo esecutivo debba rapidamente muoversi nelle sedi europee appropriate, con la necessaria determinazione e le necessarie alleanze politiche, per ottenere una garanzia ferma e illimitata della BCE sul debito sovrano italiano e degli altri paesi dell’Eurozona, volto a ricondurre i tassi di interesse ai livelli pre-crisi - intervento da tempo sostenuto anche dall’Amministrazione americana e da molti autorevoli economisti di diverso orientamento teorico. Riteniamo, anche in questo caso con il conforto di opinioni diffuse tra gli economisti, che politiche di riduzione dei debiti pubblici siano in questa fase controproducenti, e reputiamo quindi che la richiesta nei riguardi della BCE vada accompagnata da un impegno non già all’abbattimento, ma bensì alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil in Italia e negli altri paesi in difficoltà.
Un nuovo esecutivo, tecnico o politico, che si configurasse invece come mero esecutore delle richieste europee, quali espresse nelle scorse settimane, determinerebbe un aggravamento della crisi economica e finanziaria in Italia e in Europa, con devastanti conseguenze sociali e l’insostenibilità degli attuali accordi, monetari e commerciali, nell’UE”.
Ed ecco servito Olli Rehn e i suoi compitini da studente insipiente.
Chi è interessato al testo completo dell’appello, lo può trovare sul sito “documento degli economisti 2011” con un impressionante elenco di circa duecento firme provenienti da dozzine di università di cinque continenti.
L’unica cosa che mi sfugge è come mai gli illustri firmatari si preoccupino solo delle decisioni da prendere a livello italiano ed europeo, dimenticando di auspicare quella nuova regolamentazione dei mercati finanziari globali che è l’unica soluzione veramente definitiva a questa crisi e a quelle che verranno se si lasciano le cose come stanno.


Post Scriptum, 20 novembre 2011, ore 01.09

Il 17 novembre 2011, h. 16.29 sul sito del “Documento degli economisti” annotavo questo commento:

Un ottimo appello, che finalmente dice chiaro che se la Bce non cambia linea, l'Italia andrà al default, qualunque cosa faccia Mario Monti. E la colpa sarà della Germania. Quello che mi sfugge è perché il documento si preoccupi solo delle decisioni da prendere a livello italiano ed europeo, trascurando di auspicare quella nuova regolamentazione dei mercati finanziari globali che è l'unica soluzione veramente definitiva a questa crisi e a quelle che verranno se si lasciano le cose come stanno.

Il 19 novembre 2011, h. 01.32 Ireonzo Mazzuccato scriveva
concordo pienamente con il commento che mi ha preceduto (Cacopardo)

Il 19 novembre 2011, h. 02.05 Sergio Cesaratto, co-promotore del documento, scriveva:
Non concordiamo che la regolamentazione della finanza sia "l'unica soluzione veramente definitiva a questa crisi". Questa ha le sue radici reali nella ineguale distribuzione del reddito nel capitalismo. Non c'è una economia finanziaria malata, e una reale "sana". E' malato il capitalismo. Su ciò torneremo (S.Cesaratto).

Il 20 novembre, h. 0.45 ca., rispondevo:

Mi permetto di dissentire dall’ottimo Cesaratto. Capitalismo significa soltanto proprietà privata di almeno una parte delle imprese e degli immobili. Questo non comporta affatto necessariamente una distribuzione del reddito così colossalmente disuguale come quella che abbiamo oggi. Certamente questa crisi ha radici in questa grandiosa iniquità, ma non sarebbe mai stata possibile senza l’allucinato assetto che è stato dato negli ultimi trent’anni ai mercati finanziari, che non è mai esistito in tutta la storia dell’uomo.




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