martedì 2 novembre 2010

L'abbaglio di Travaglio e la mancanza dell'alleanza

           Torno a insistere sull’abbaglio di Travaglio di cui ai post del 17 e del 24 ottobre, perché l’argomento è tutt’altro che secondario ed è gravido di conseguenze politiche.  
            Ripartiamo da capo. I pericoli derivanti dalla posizione di Silvio Berlusconi come magnate televisivo sono di almeno tre ordini, e tutti e tre si darebbero anche in assenza delle sue violazioni della legge penale e delle conseguenti vicende giudiziarie. Li chiamerò sinteticamente: 1) il (quasi) monopolio televisivo privato; 2) l’attacco alla separazione dei poteri; 3) il conflitto d’interessi, che è il meno pericoloso di tutti.
             

1) Come aveva rilevato la corte costituzionale in una serie di sentenze fra gli anni Sessanta e Settanta, la concentrazione monopolistica dell’emittenza televisiva privata rappresenta di per sé un rischio per la democrazia e il pluralismo, poiché consente ad un unico soggetto privo di legittimazione democratica di condizionare pesantemente l’opinione pubblica e orientarla politicamente e culturalmente. Questo è un dato che, dopo l’uso che è stato fatto di Mediaset in Italia, non dovrebbe richiedere dimostrazione. E’ un dato talmente cruciale che, come osservava Travaglio al convegno di Firenze, quasi tutti gli illeciti commessi da Berlusconi sono stati finalizzati a conseguire questo risultato. Invece l’opposizione ha lasciato sempre questo aspetto in secondo piano, consentendo che si affermasse l’idea, pesantemente propagandata da Mediaset stessa, che, poiché Mediaset è privata può dire e fare tutto quello che vuole. Dimenticando che si tratta di un servizio pubblico d’interesse nazionale esercitato in concessione, che fra l’altro, in quanto tale, è soggetto al dettato dell’art. 43 della costituzione in materia di nazionalizzazioni. Sottolineo con forza che questo problema esisterebbe anche se Berlusconi non fosse mai entrato personalmente in politica.
            2) Ma l’ingresso di Berlusconi in politica pone un ulteriore problema di separazione dei poteri. Ho già osservato che, in una democrazia moderna, la separazione del potere mediatico dal potere esecutivo del governo è altrettanto cruciale che la separazione del potere giudiziario. Questo significa che, quale che sia il suo assetto proprietario, il potere mediatico, proprio come il potere giudiziario, dev’essere assoggettato ad un ferreo sistema di regole sotto il controllo di un’autorità pubblica indipendente dal governo. Che il monopolista privato diventi addirittura in prima persona presidente del consiglio è un’aberrazione che gli conferisce una concentrazione di potere incompatibile con la democrazia. La finalità della separazione dei poteri è garantire la supremazia della legge e della costituzione. Il caso italiano dimostra proprio quanto può fare il controllo dei media per mettere il potere al di sopra della legge. E’ qui che sta la vera minaccia alla democrazia.
            3) Il conflitto d’interessi, in questo quadro, è l’ultimo dei problemi. Conflitto d’interessi significa, in sintesi, il rischio che chi svolge una certa funzione la eserciti a favore dei propri interessi economici e a danno di quelli inerenti alla funzione. Questo rischio esisterebbe anche se Berlusconi fosse un magnate del cemento o dell’acqua minerale. E’ un pericolo per l’interesse pubblico, ma non è, in sé, una minaccia alla democrazia. In questo senso, la generale insistenza su questo particolare problema dimostra solo che il grande inganno ordito dal berlusconismo ha avuto i risultati a cui mirava.
            Tutti questi problemi esisterebbero se anche Berlusconi non avesse il progetto politico che ha. Ma quando assistiamo quotidianamente al continuo e pervicace tentativo di sottomettere al controllo del governo non solo la televisione, ma la magistratura, il parlamento, la corte costituzionale e qualunque altro potere che abbia un peso, dovrebbe essere evidente che in Italia sta accadendo quanto di peggio si potesse temere: è in atto il tentativo di rendere autocratica una democrazia. Che il tentativo sia ancora incompiuto indica che il paese ha i suoi anticorpi, culturali e costituzionali, non significa che il tentativo non ci sia.
            E’, come ho già detto, un tentativo fondato sull’inganno. A differenza del fascismo, che aveva un progetto dichiarato e scoperto, il berlusconismo occulta il suo proposito autoritario dietro la continua proclamazione del suo contrario: le libertà, i diritti, la sovranità popolare..
            Dobbiamo cadere vittime di quest’inganno? Abbiamo bisogno di prove che esista un simile disegno? Ma una prova l’ha data lo stesso Travaglio, quando al convegno di Firenze ha sostenuto che Berlusconi è legato mani e piedi a tre centri di potere: la mafia, la P2 e il malaffare politico romano. Lasciamo pure da parte il primo e l’ultimo: ma qualcuno può sostenere che la P2, con tutte le sue attuali propaggini, non abbia un progetto politico?
            Abbiamo bisogno di altre prove? Le parole dello stesso Berlusconi. E’ stato, ironia della sorte, proprio nel giorno del fermo di Ruby e di quella famosa telefonata, che, davanti ad un attonito consesso di capi di stato stranieri, Berlusconi ha dichiarato che desidererebbe avere più potere di quanto ne ebbe Benito Mussolini. E’ sorprendente che un’affermazione così sfacciata e così grave sia passata del tutto inosservata.
            Come ci si può illudere che tutto questo sia finalizzato esclusivamente alla soluzione dei “problemi giudiziari” del capo? Al contrario, non è la politica che è dipende dai problemi personali, sono semmai i problemi con la legge che sono nati dal perseguimento di un obiettivo politico. Come ha detto Travaglio, quasi tutti i processi hanno a che fare coi media. E i media sono il cardine di questo disegno.
            Ma veniamo alle conseguenze concrete di questa analisi. E al “sondaggio di mezza estate” di Claudio Riolo. Era circa l’8 agosto, in mezzo al solleone ferragostano, quando mi è arrivato sul cellulare un sms che mi chiedeva: si intravede un leader e un programma capace di unire gli antiberlusconiani alle elezioni? La conclusione del sondaggio, mi comunicava Claudio, è stata che non si vede “un leader (né un progetto) in grado di unificare uno schieramento antiberlusconiano large (da Fini a Grillo), né medium (da Casini a Vendola), né small (da Bersani a Vendola, nel senso che se fosse Vendola a vincere le primarie il Pd si spaccherebbe).” Conclusione tanto attendibile quanto decisamente sconfortante.
            Ma pensate cosa succederebbe se tutti gli oppositori dello schieramento più ampio si decidessero a riconoscere l’esistenza di un disegno politico che, allo stato attuale delle cose, nessuno di loro condivide e che minaccia seriamente la democrazia in quanto tale. Non sarebbe il caso, come fece il CNL, di mettere da parte tutte le divisioni e dedicarsi a sradicare innanzitutto questa minaccia? Sarebbe poi così impossibile trovare un minimo comun denominatore nella gestione degli affari correnti per mettere in primo piano la ricostituzione delle condizioni necessarie per un confronto politico normale e la riaffermazione su nuove basi del patto democratico repubblicano?

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