giovedì 24 maggio 2018

Nasce bene o nasce male il governo più originale?


Nasce adesso, con l'incarico a Giuseppe Conte, l'avventura del nuovo governo giallo-verde.
Difficile negare che si tratti del governo più originale di tutta la storia d'Italia. In questo senso ha ragione il buon Di Maio: è stata una giornata storica. Questo è forse il governo più atteso alla prova dai tempi lontani di Alcide De Gasperi.
Ed è atteso fra la gente, direi, più con benevola curiosità che con accigliata preoccupazione, perfino fra quella buona metà dei votanti che non aveva scelto né il giallo né il verde.

A ben guardare, il processo che ha portato alla sua formazione ha presentato, in barba alle critiche di tanti pensosi licurghi, alcuni aspetti piuttosto incoraggianti. Apprezzabile è stata l'idea di prendere le mosse non dalla negoziazione su una qualche figura di conducator con la sua corte di arcangeli sitibondi di potere, ma piuttosto da un accordo di programma che, nonostante l'etichetta riesumata, è stato almeno qualcosa di più serio dei vesposi “contratti” di berlusconiana memoria. Già questo basterebbe a tirare un sospiro di sollievo: forse siamo usciti per sempre da quei tempi funestati dall'incombere del leader candidato a condurci alla salvezza in virtù dei suoi poteri sovrumani. In politica il cosa s'intende fare dovrebbe contare sempre assai di più del chi lo intende fare.
E il giudizio sul cosa, è bene tenerlo sospeso fino alla prova dei fatti, anche se è chiaro che, in questo caso, qualunque ragioniere di campagna avrebbe qualche ragione di inarcare il sopracciglio. Tutto sommato, si può forse sperare che certe divergenti aspirazioni verdi e gialle finiscano per neutralizzarsi a vicenda, proteggendoci dagli spropositi più gravi.
Restiamo dunque ad aspettare. Nel frattempo, tuttavia, non si può non rilevare che nel breve volgere della sua giornata storica, il suddetto Luigi Di Maio è riuscito a inanellare una dopo l'altra ben tre originali stranezze che non dovrebbero passare inosservate.
Prima stranezza: assediato dai giornalisti, Di Maio dichiara enfaticamente che “questo è un governo votato”. Governo votato? A quanto pare è diventato di moda dimenticare che, nella nostra Costituzione, non si eleggono governi, ma parlamenti. All'interno dei quali si formano maggioranze che esprimono governi col voto di fiducia. In questa luce, il nuovo governo non ha nulla di originale: è perfettamente legittimo e normale. Non è per nulla in linea, al contrario, con la moda a cui Di Maio presta ossequio. Questo governo non lo ha votato proprio nessuno. Non gli elettori della Lega, che credevano di scegliere una coalizione di destra, né gli elettori dei cinquestelle, che si erano visti presentare una squadra di governo, improbabile ma completissima, che formava parte integrante della loro proposta politica. Tutto questo dovrebbe essere evidente anche al più ottuso ragioniere di campagna. Quel che potrebbe preoccupare è che Di Maio si senta in diritto di proclamare verità contrarie ad ogni evidenza confidando che nessuno se ne accorga. In questo rassomiglia vagamente a Berlusconi, a Renzi, a Trump: non tanto originale.
Seconda stranezza: più tardi, nuovamente sotto assedio, Di Maio dichiara convinto che “i ministri li sceglie il presidente della repubblica”. Questa è davvero originale. La nostra Costituzione non dice affatto che il capo dello stato sceglie i ministri. Dice che li nomina su proposta del capo del governo. Ma il capo dello stato non nomina proprio nessuno se non è certo che ci sia una maggioranza in parlamento disposta ad avallare quella nomina col voto di fiducia. La scelta dei ministri deve essere espressione della volontà del parlamento e non di quella del capo dello stato: altrimenti saremmo in America. Di Maio, a quanto pare, non si accorge, per di più, che la sua originale teoria è in flagrante contrasto con la prima stranezza di cui sopra. O forse confida che nessuno se ne accorga. Anche in questo, rassomiglia vagamente a Berlusconi.
Terza stranezza: è nata la Terza Repubblica. Ohibò! Credevamo di vedere un governo coraggiosamente appuntato sugli spilli di una maggioranza piuttosto risicata, potenzialmente inviso a poteri formidabili, affidato all'incerta garanzia del Quirinale, minacciato dalle furie dei mercati, destinato a destreggiarsi arditamente fra le speranze e il baratro del debito, un governo sulla cui durata anche i più accesi sostenitori esiterebbero a scommettere una fortuna, un governo chiamato ad essere consapevole di avere davanti sfide durissime, che richiedono smisurata intelligenza, immensa chiarezza d'intenti, titanica determinazione. E invece ci si annuncia, prima ancora di cominciare, che siamo già entrati in una nuova era, come il pugile che annuncia la vittoria prima ancora di accedere sul ring. Ma, di grazia, che era è questa? Un'era giallo-verde in cui regnerà incontrastata la concordia dei leghisti e dei grillini? Un'era in cui i ministri saranno scelti dal capo dello stato? Un'era in cui i governi saranno finalmente “votati” come questo? O un'era in cui saremo tutti ricchi e contenti, liberi finalmente dal bisogno, dalle tasse, dall'Europa, dalla casta e dai perfidi migranti?
Ma non è il caso di ironizzare. Questo governo è una cosa seria, nonostante tutto. I grillini avevano già compiuto un autentico miracolo, dimostrando che in barba ai poteri forti, in barba al controllo dei media, in barba a Morgan Stanley e ai torbidi neo-con, la democrazia vive ancora ed è più forte, e una forza politica nata dal nulla può aspirare al governo di un paese. Adesso sono chiamati ad un altro miracolo: ammalati di inguaribile ottimismo, non vogliamo escludere che ce la possano fare.
In questa difficile sfida, la fantasia può essere di aiuto: ma ci vuole soprattutto serietà. La Terza Repubblica sarebbe meglio lasciarla stare, insieme a tutti i trionfalismi, alle manipolazioni del diritto e del buon senso, ai discorsi contrari all'evidenza. Queste cose ci ricordano Renzi, Berlusconi e Donald Trump: proprio nulla di originale.




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