giovedì 3 gennaio 2013

La rivincita sul neoliberismo

Decisamente eccessivo l’ottimismo di Federico Rampini che dalla prima pagina di Repubblica di oggi annuncia addirittura, sotto il luminoso titolo “La rivincita sul neoliberismo”, la “fine del pensiero unico”.
Intendiamoci: è già molto confortante che quel giornale, che in passato non ha certo mancato di allinearsi ordinatamente sui dettati del verbo predominante, metta oggi in prima pagina espressioni di entusiasmo per il suo auspicabilissimo tramonto. E’ un segno che i tempi stanno cambiando. Ma è un po’ pericoloso illudersi che siano già cambiati.
Quando Rampini annuncia trionfante che “il disastro del neoliberismo… giunge al suo epilogo più naturale: un cambio di paradigma”, desidereremmo tanto dargli ragione. Abbiamo sempre sostenuto in questo blog che il neoliberismo è destinato a tramontare, come è destinato a crollare quell’altro credo perniciosissimo che domina i rapporti internazionali, il realismo geopolitico. Ma se è vero che il primo evento sembra ormai più prossimo del secondo, entrambi appartengono ancora al futuro.
La manovra redistributiva faticosamente negoziata da Obama in questa fine d’anno segna forse un passo in una nuova direzione, ma non possiamo nasconderci che questo passo è stato possibile solo perché è un atto di portata minimale. Per smantellare il poderoso edificio costruito dal neoliberismo, la strada da percorrere è ancora molto lunga.
Se i mercati hanno plaudito all’accordo raggiunto non è certo perché si siano convertiti “ad una politica economica di sinistra”. E’ solo perché hanno visto svanire l’immediato pericolo del baratro fiscale. E’ forse vero che le politiche di stampo keynesiano (quelle che Rampini chiama “di sinistra”) sono viste oggi con meno ribrezzo che in passato, ma questo è solo perché, in certa misura, sono diventate evidentemente indispensabili. In questo senso è vero che, se il pensiero unico non è finito, almeno non è più tanto unico. Ma una definitiva fuoruscita dal neoliberismo non può certo essere un puro e semplice ritorno a Keynes.
Quello di cui c’è oggi disperato bisogno è davvero un nuovo paradigma. Una nuova costruzione teorica capace di interpretare con altri occhi la condizione dell’economia globale, a partire dall’assetto dei mercati finanziari, la cui messa in discussione deve essere il punto di partenza di un discorso profondamente innovativo che riguardi la natura stessa del denaro. Oggi è nei meccanismi che regolano il denaro la prima e più possente fonte di ingiustizia e insicurezza. Sono i processi di creazione e di circolazione della moneta che devono ormai essere ricostruiti su basi interamente nuove, se si vuole sfuggire alle minacce che continuano ad incombere sulla tranquillità economica dei cittadini di tutto il mondo.
Di tutto questo si intravedono ancora soltanto pochi sporadici segni. Ma il cammino è ormai iniziato, il dado è tratto. Se il neoliberismo non è ancora finito, adesso è certo che tramonterà.


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