martedì 28 agosto 2012

Disabile, la parola impronunciabile.

Ancora una volta veniamo invitati a piantarla di parlare di “disabili”. Questa volta da Alessandro Cannavò sul Corriere della Sera di oggi.
Almeno stavolta Cannavò ha il buon senso di non accennare nemmeno all’insopportabile espressione “diversamente abili”, che pretende di consolarmi dei vari guai della mia amatissima figlia Maddalena ricordandomi la sua grande abilità a manovrare accendini, fare bolle di sapone e leggermi nel pensiero, sperando con questo di farmi dimenticare che non è in grado di parlare e di allacciarsi le scarpe. E’ un argomento di cui ci siamo già occupati in questa sede qualche tempo fa.
In questo caso, facendosi forte addirittura della Convenzione Onu del 2008 in materia, Cannavò ci spiega invece che dobbiamo parlare di “persone con disabilità”, perché altrimenti concentreremmo l’attenzione “sulla condizione e non sulla persona”. Siamo autorizzati semmai a parlare di “disabili” al plurale “perché in questo caso si indica un gruppo”.
Dovranno dunque smetterla quelli che dicono “non vedente” a un cieco: dicano, per favore, “persona con nonvedenza”. Ma anche quelli che parlano di un “saldatore” o di un “ministro” o di un “mistico” sono colpevoli di attirare l’attenzione sulla condizione e non sulla persona: dicano per favore “persona con ministero”, “persona con capacità di saldatura”, “persona con testa incline alla mistica”. Il pacifista va chiamato “persona con pacifismo”, l’orticultore “persona con orto” e guai a parlare di un idiota anziché di una “persona con idiozia”. Esiste forse il pignolo? No: è una persona con pignoleria.
Altrimenti ci si può salvare dall’infamia parlando di un “membro dell’insieme dei saldatori” o di “uno fra i tanti idioti”: ed è un colpo di fortuna se per il ministro ce la possiamo cavare con meno spesa, bollandolo come “membro del governo”.
Sarebbe ora che ci rassegnassimo a riconoscere che essere ciechi o disabili non è una colpa: e dunque non è un’offesa riconoscere la realtà del fatto. Se non è una colpa, è però un male. E, come ho detto a suo tempo, il Male esiste e non è facendo a meno di nominarlo che possiamo illuderci di cancellarlo. La guerra non diventa meno orribile se la chiamiamo operazione di pace e il cancro non diventa cosa più bella se lo chiamiamo “un male che non perdona”.
Mia figlia è disabile, c’è poco da fare. Se voglio parlare della sua tenerezza, dirò che è tenera, se parlo del suo peso dirò che è un po’ cicciona, se parlo del suo pensiero potrò dire che è profonda e se voglio “concentrare l’attenzione” sulla sua persona, magari, che so, la chiamerò Maddalena.

Post scriptum. A quanto pare non sono proprio solo, si veda che ne pensa Luca Pancalli


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